martedì 10 ottobre 2023
Si affaccia nell’infosfera ecclesiale la tentazione di ricorrere alle nuove applicazioni digitali con atteggiamenti sbrigativi e utilizzi superficiali. Ma c'è una provocazione spirituale da cogliere
L'home page di OpenAi, azienda che ha sviluppato ChatGpt

L'home page di OpenAi, azienda che ha sviluppato ChatGpt - Openai.com

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Ancora non sappiamo quale sviluppo papa Francesco darà al tema «Intelligenza artificiale e sapienza del cuore» annunciato per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali 2024. Riceveremo infatti il messaggio papale in gennaio, nella festa di san Francesco di Sales, e solo poco prima, a dicembre, avremo il testo del messaggio per la Giornata mondiale della pace, analogamente intestato a «Intelligenze artificiali e pace». Possiamo però, certamente, coglierne alcune suggestioni. Lo faccio a partire da quell’infosfera ecclesiale che, grazie al mandato di Avvenire, frequento sistematicamente da ormai nove anni.

Per i meno addetti ai lavori, la questione dell’intelligenza artificiale si è posta con evidenza da quando, a fine 2022, è stata resa disponibile l’applicazione ChatGpt, che produce (lo dico con le più povere delle parole; sulle pagine di Avvenire Paolo Benanti, lo scorso 14 gennaio, l’ha ben più riccamente definita) testi anche molto lunghi e complessi su richiesta, e che è stata immediatamente messa alla prova nell’ambito della vita ecclesiale. C’è chi l’ha semplicemente interrogata sulla sua “cultura cattolica” o su come articolare una pastorale vocazionale, e chi, ponendole la domanda-chiave sull’esistenza di Dio, ne ha saggiato la competenza quanto al dibattito esistente ma anche il suo dichiarato agnosticismo strutturale: «Sono un modello di linguaggio artificiale, non ho un’opinione personale», ha risposto.

C’è chi, su questa falsariga, ha addirittura dedicato parte del suo insegnamento scolastico della religione cattolica a educare, facendo lavorare l’applicazione su alcuni santi, a un suo uso consapevole, sapendo che gli studenti sarebbero stati tra i più facilmente tentati dal ricorrervi acriticamente. C’è chi invece, con l’intelligenza artificiale, i santi ha provato a farli chattare con noi, con una chatbot chiamata “Prega.org” (al momento sospesa). Simulazione dichiarata e tuttavia molto credibile, quanto ai contenuti e persino quanto al tono di voce, così che il rischio di fraintendimento, specie per le anime spiritualmente più delicate o solamente distratte, era parso a vari osservatori alto. Del resto esistono analoghe applicazioni che ci fanno chattare con i nostri cari defunti, utilizzando le loro “reliquie” digitali magari fornite da noi stessi: ma è difficile credere che esse possano veramente aiutarci nell’elaborazione del lutto.

E c’è infine chi, non acriticamente ma, al contrario, nella volontà di condurre un esperimento (il contesto era infatti l’annuale Kirchentag della Chiesa evangelica tedesca), ha affidato a ChatGpt, proiettando su un grande schermo l’immagine di un “pastore virtuale”, la proclamazione del sermone e l’organizzazione dell’intero culto (canti, preghiere). E chi ha fatto scrivere alla stessa intelligenza artificiale la cronaca-commento dell’esperimento, ottenendone sia l’onesta presa d’atto delle perplessità dei fedeli sia la raccomandazione a un utilizzo “di sé stessa” «in linea con i valori fondamentali della fede» e rispettoso della «dignità e centralità della persona umana». È facile condividere, nelle pieghe di questi casi che ho richiamato tra i tanti, le preoccupazioni suscitate da queste nuove «macchine » che la Santa Sede ha indicato presentando il tema del messaggio papale: che diffondano «un sistema di disinformazione a larga scala», quando ci seducono creando testi, in materia di fede, che ci paiono migliori (più informati, più acuti, più completi) dei nostri, e che accrescano la «solitudine di chi è già è solo», quando promettono di farci conversare con quanto per molti di noi c’è di più sacro, come i santi e i morti. Vale la pena allora guardare all’evoluzione di queste tecnologie tenendo ben presente la domanda con la quale si conclude il dossier dell’ultimo numero della rivista Jesus, dedicato appunto alla sfida che esse pongono: «In un mondo in cui l’intelligenza artificiale sarà uno strumento diffuso e di uso comune, sarà più difficile credere?».

Guido Mocellin è autore del recente «Cronache di un piccolo cristiano» (San Paolo)

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