mercoledì 1 marzo 2023
In mano un foglio di giornale trovato perché ci stava involtolata della frutta, il piccolo Useppe, indimenticabile personaggio del romanzo La storia di Elsa Morante, sta a guardare la pagina esterrefatto, i grandi occhi celesti «vuoti e scolorati, come quelli di un ciecolino». Riprodotte sul foglio, il bambino ha appena visto le immagini scattate dai soldati alleati al momento della scoperta dei campi di sterminio. Il romanzo della Morante è ambientato a cavallo della Seconda guerra mondiale, non sorprende l’accenno a quei fatti di immane atrocità. Accenna poco oltre anche alla rimozione, mostrata da parte dei tanti che rifiutavano di ascoltare i racconti dei sopravvissuti tornati da Auschwitz e dagli altri campi. Da Primo Levi sappiamo di quella resistenza all’ascolto, a sapere, reticenza di fronte al male assoluto dello sterminio, una tragedia morale che andò (e ancora troppe volte va) sommandosi alla tragedia della Storia. Analoga narrazione in un romanzo fa altrettanto effetto. Da quel cartoccio di giornale per caso guardato dal bambino Useppe, ecco Morante passa a dire dei sopravvissuti, «figure spettrali come i numeri negativi», che «la gente voleva rimuovere dalle proprie giornate come si fa con i pazzi o i morti». Forza della letteratura: come tutto qui anche risuona terribile, inaudito. © riproduzione riservata
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