domenica 5 marzo 2023
Quando nel 1996,
a un anno dalla pubblicazione originale in Portogallo, venne tradotto in Italia il romanzo di José Saramago Ensaio sobre a Cegueira (“Saggio sulla cecità”), si scelse di titolare sinteticamente con il solo termine Cecità. Un ragionamento di natura prettamente editoriale. Quanti lettori avrebbero amato e compreso il valore di un romanzo dal nome tanto teorico, intellettuale? Quanti avrebbero capito che in quel “Saggio su…” si annidava invece un fronteggiamento totale con la materia narrativa, frutto in germe del più visionario, distopico, avveniristico dei romanzi? Anni dopo, un successivo Saggio sulla lucidità (dove alcuni dei personaggi di Cecità peraltro ricorrono) non conobbe stesso ragionamento. Il successo anche in Italia del romanzo Cecità era stato tale (Saramago nel frattempo aveva vinto il Nobel per la Letteratura, nel 1998) da poter legittimare e autorizzare fedeltà al titolo originale. Eppure una delle caratteristiche che rendono formidabile l’invenzione di Saramago è proprio la sua componente “saggistica”: la vicenda trasfigura una considerazione d’insieme, obiettiva, distaccata. Grande romanzo metaforico sulla cecità degli esseri umani, patologia intesa metaforicamente e considerata con la lucidità e il distacco che sono, sanno essere, solo di un grande scrittore. © riproduzione riservata
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