giovedì 15 novembre 2007
Diceva mio padre che più onore ti fa un ducato che tu hai in borsa che dieci che n'hai spesi.
Spero che nelle scuole superiori si studi ancora il pensiero di Francesco Guicciardini, storico e politico della repubblica fiorentina del Quattro-Cinquecento. Un «vecchio professore di liceo» - così si firma - mi invia questa e altre citazioni dei Ricordi politici e civili, forse l'opera teorica maggiore dello scrittore di Firenze. Il tema è evidente, il risparmio. Per affinità a me viene in mente un passo di un libro che ho letto nell'adolescenza, il famoso romanzo David Copperfield che lo scrittore inglese Charles Dickens pubblicò nel 1850: «Entrate annue: venti sterline. Spese annue: diciannove sterline e mezza. Risultato: felicità. Entrate annue: venti sterline. Spese annue: venti sterline e mezza. Risultato: miseria».
L'equazione sarà un po' sbrigativa, ma il monito è chiaro. Certo, si può essere economi fino a rasentare l'avarizia (che è un vizio capitale); si può da parsimoniosi diventare micragnosi, da sobri taccagni, da investitori attenti ci si può trasformare in spilorci pidocchiosi. Ma ai nostri giorni, col tamburo battente della pubblicità, è ben più facile che si scivoli nello spreco senza criterio. Spesso si diventa spendaccioni privi di ritegno e senza pensare al futuro, nella convinzione che è la collettività che dovrà farsi carico di un'eventuale indigenza. I figli per primi sono abituati dai loro stessi genitori ad avere tutto divenendo, così, pretenziosi e scialacquatori, sbruffoni e dissipatori. Alla fine è anche una questione di dignità che viene perduta, quando - bruciato quello che si aveva in uno scialo insensato - si ricorre agli altri o all'assistenza pubblica.
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