martedì 10 gennaio 2012
Passando davanti a un'edicola, ho letto questa frase sulla locandina di una rivista: «Il solo giornale che ha più immagini che parole». Mi sono allontanato dall'edicola con una gran tristezza addosso. Quello che sembrava un vanto per il giornale, per me era poco meno di una tragedia. E non esagero. Le parole ci servono per pensare, per immaginare, per ricordare. Cos'è che aspettiamo con più ansia da un bambino piccolo? Il momento in cui pronuncia le sue prime parole. Quelle che gli serviranno per indicare le cose, per soddisfare un bisogno, per esprimere e ricevere richieste d'amore. Quanta fatica, quanti balbettii prima di dire ai suoi: io esisto, ho pensieri, sentimenti, emozioni. Poi i bambini crescono, vanno a scuola, giocano in gruppo. Con le parole fanno proposte, con le parole ricevono consigli, incoraggiamenti, lodi. Quando sono felici, hanno bisogno di dirlo, anzi di urlarlo con le parole: se gli altri conoscono la nostra felicità, questa diventa più grande. Quando invece sono preoccupati, fanno più fatica a trovare le parole. E
se non ci riescono, perché il dolore è troppo grande, scoppiano a piangere. Si soffre meno se si riesce a dire
con le parole il disagio che proviamo. Ecco perché la classe è ancora un posto importante per un bambino. Per me è stata sempre, soprattutto, il luogo delle parole. Quello dove le parole si incontrano e si scontrano e dove dal confronto nascono parole nuove, più forti, migliori. Nelle nostre classi ai bambini dobbiamo regalare parole facili e parole difficili, parole leggere e parole pesanti per raccontarci a vicenda il peso e la leggerezza della vita. Con le parole coltiviamo idee, desideri, sogni. Anche quando siamo soli, non siamo mai veramente soli se abbiamo a disposizione le parole per riempire il silenzio della nostra solitudine. L'immagine di un bambino affamato ci pietrifica. Ma se ne parliamo, possiamo aiutare quel bambino a combattere la sua fame. Le parole ci rendono liberi. Ed è con le parole che riusciamo a raggiungere anche chi è lontano da noi: con un canto, una storia, il verso di una poesia. E poco importa che il viaggio delle parole si compia attraverso la carta di un romanzo o lo schermo di un computer. Ciò che conta è che la parola viva.
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