martedì 15 maggio 2012
«Mi mandi una lettera vera?», mi scrivono di quando in quando i bambini. Con ciò intendendo una lettera scritta a mano, messa in una busta da affrancare, da spedire e che il postino infila nella buca di casa. Curioso che tali richieste arrivino da parte di bambini e non di adulti nostalgici di penne stilografiche e di calamai. Sono bambini che sanno bene come scrivere un'email per raggiungere uno scrittore o un amico. Eppure, per alcuni, le email che arrivano sul computer annunciandosi con uno squillo di colpo sembrano astratte e impersonali. «Sei davvero tu che scrivi o è una segretaria?». Eh, sì, chi c'è davvero dietro quel testo che contiene una risposta a domande importanti, a quesiti urgenti, a dichiarazioni di stima o di affetto? I bambini hanno bisogno di toccare con mano e di guardare negli occhi le persone che per loro sono significative. Sono meno disincantati dei grandi, per i quali è sufficiente una comunicazione astratta ed essenziale. In una lettera scritta a mano possono seguire il tracciato delle parole e la curvatura delle lettere, intuire i ripensamenti di chi ha esitato nel formulare un'idea, un pensiero, un complimento. Dietro l'inchiostro che ha marchiato la pagina, con una pressione leggera o accentuata della mano, colgono lo sguardo attento o distratto dell'uomo o della donna che scrivendo su un sottomano da scrivania, si è rivolto loro per comunicare e stabilire un rapporto. I bambini hanno spesso l'impressione che ci sia molta finzione, molta astrattezza intorno a loro, e hanno fame di autenticità. A scuola, a casa, dovunque entrano in relazione con gli altri, hanno bisogno di credere che sia vero quello che li riguarda, che siano vere le parole che ascoltano. Non amano essere presi in giro, non amano chi si nasconde dietro l'ipocrisia. A volte, davanti alla loro richiesta di ricevere una lettera vergata a mano, vorrei rispondere: «L'email per me è più comoda, perché mi evita di fare la fila alla posta e di perdere tempo». Ma cerco sempre di evitare i mezzucci con i quali spesso neghiamo ai bambini soddisfazioni che a noi sembrano irrisorie e che per loro invece sono tanto importanti. Perciò impugno la mia stilografica e scrivo: «Caro o cara…».
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