sabato 10 novembre 2007
Quando Dio creò l'uomo mise in lui un seme celeste, una sorta di capacità più viva e più brillante di una scintilla, perché illuminasse il suo spirito e gli desse il discernimento tra il bene e il male. È ciò che chiamiamo «coscienza», è la legge innata presente in noi.
Era un monaco del VI sec. originario di una terra che ora è tutta intrisa di sangue ed è teatro di sofferenze, odi e miserie: Doroteo di Gaza ci ha lasciato una serie di Insegnamenti dai quali abbiamo tratto questa bella definizione simbolica della coscienza. Già la stessa parola italiana è suggestiva perché rimanda a cum scientia, «con la consapevolezza»: è, quindi, la voce della vera umanità che «conosce il bene e il male», dopo che l'uomo è stato posto sotto l'albero omonimo, segno della moralità. È un seme divino, anzi una scintilla di luce che illumina l'anima e regola la volontà e l'agire. Come si legge nella Bibbia: «È una fiaccola del Signore che scruta tutti i segreti recessi del cuore» (Proverbi 20, 27).
Purtroppo questa lampada che dovrebbe illuminare i passi della nostra vita è frequentemente oscurata per lasciare spazio al bieco interesse immediato o al piacere, alla superficialità, all'egoismo. Troppo spesso la nostra coscienza viene ridotta a una sostanza elastica adatta a coprire ciò che non è lecito oppure, come ironizzava lo scrittore francese Honoré de Balzac, la rendiamo simile a «un bastone che si brandisce per picchiare il vicino, ma che non si usa mai per se stessi». Ritorniamo, perciò, all'«esame di coscienza» per riascoltare quella voce che ci insegna ciò che è bene e ciò che è male, senza facili auto-assoluzioni.
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