martedì 31 gennaio 2012
Quando si ammala seriamente un bambino, pensi subito: non è giusto. Lo pensano i genitori e lo pensa anche il maestro. I bambini corrono, ridono, urlano. Anche quando piangono, il pianto è un segnale di forza e di vita. È l'immobilità che è innaturale per loro. Per esempio quella cui li costringe la permanenza in un ospedale. Sono andato sempre a trovare i miei alunni quando venivano ricoverati. Tra
i disegni e le lettere dei loro compagni ce n'era anche una mia, bella lunga: da rileggere, magari, prima di addormentarsi. Ma sono stato anche in altri ospedali, dove i bambini restano a lungo per cure più lente e faticose. Ricordo la prima volta che entrai in quello di Bari. Andai per leggere delle storie ai piccoli ricoverati, accolto e accompagnato da due ragazze vestite da clown. Ci raccogliemmo in una saletta. Arrivarono bambini piccoli in braccio alle madri e ragazzi più grandi con una flebo al braccio: alcuni in pigiama, altri con una vestaglietta addosso. Lessi, raccontai e parlai del mio lavoro di maestro in un scuola di Torino. Ridemmo anche, e scherzammo. Alcuni visi erano arrossati, altri più pallidi. Ma gli occhi di tutti erano lucidi di curiosità. Prima di andar via volli entrare nelle camere che occupavano in ospedale. Vidi le madri che sfogliavano libri illustrati con i più piccoli, papà che costruivano origami sui letti con i più grandi. Avevo parlato con i bambini, volli parlare anche con i grandi. «È più coraggioso di me» mi disse una madre dopo che il figlio si fu appisolato. «Mi dice sempre che vuole guarire e tornare a casa. E sono sicura che ci riuscirà». Non ne ero sorpreso. Ho sempre notato che, quando si ammalano, i bambini sono più coraggiosi dei grandi. Non vedono l'ora di riprendere le loro abitudini. Vogliono tornare a scuola per rivedere i compagni e giocare in cortile. Ma anche per bisticciare e poi fare la pace. È questa la loro vita. E vogliono che si rinnovi uguale ogni giorno, protetti dagli adulti che li amano, affiancati dagli amici con i quali la condividono. Perciò non si lasciano facilmente abbattere dalla malattia. La ritengono un incidente temporaneo, combattono cocciutamente per guarire e non conoscono la rassegnazione. Ci danno lezioni senza volerlo e dobbiamo saperle raccogliere.
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