Fondo per il clero, si intravede una luce in fondo al deficit
giovedì 5 luglio 2018
Una nuova politica previdenziale a tutto campo è stata suggerita ieri dal presidente dell'Inps Tito Boeri nel corso della presentazione della Relazione sulle attività dell'Istituto nel 2017. Un'ampia lista di "suggerimenti" che vanno da una maggiore presenza di immigrati nel mercato del lavoro alla regolamentazione della gig economy (nella quale la domanda e l'offerta s'incontrano on line attraverso apposite piattaforme digitali); dai timori sugli effetti finanziari delle pensioni a "quota 100" ai controlli sui permessi consentiti dalla legge 104.
Proposte e considerazioni, in parte condivise nel suo intervento dal Ministro Di Maio, sullo sfondo di un quadro di bilancio 2017 che riassume la gestione complessiva di 25,138 milioni di assicurati, di 251 miliardi per prestazioni e di un flusso finanziario annuo (somma di entrate e uscite) di 860 miliardi.
L'ultima legge di bilancio ha previsto tuttavia la cancellazione dal 2018 delle anticipazioni finanziarie che hanno finora pesato fittiziamente sull'Inps come debiti con lo Stato per circa 60 miliardi di euro. Ne beneficia anche il Fondo Clero, il cui peso, pur minimo, sul patrimonio dell'Inps si dimensiona in 2.325 milioni a fine 2017. Un dato sul quale, periodicamente, aleggiano critiche e giudizi negativi. Giustificare lo sbilancio col fatto che il Fondo assicura ai ministri di culto una pensione in proporzione più alta dei contributi versati, corrisponde solo in parte a verità. Si dimenticano altri fattori che appesantiscono impropriamente la gestione assicurativa, a cominciare dal sovraccarico, nel corso degli ultimi trenta anni, di interessi passivi, perfino superiori al tasso legale, chiesti dallo stesso Inps per consentire il pareggio di bilancio del Fondo. Uno studio avviato all'interno dell'Istituto sull'ammontare degli interessi sostenuti nel complesso dalla gestione consente di valutare la presenza anomala di questi interessi molto vicino alla metà del deficit in corso.
Segue, tra i fattori storici irrisolti, la mancata promessa dello Stato di un intervento straordinario a pareggio del deficit in occasione della riforma avviata nel Fondo dall'anno 2000, al fine di agevolare il passaggio del sistema di finanziamento da capitalizzazione a ripartizione.
Non ultimo, l'Inps applica un'interpretazione delle norme che esclude i ministri da misure contributive (riscatti, ricongiunzioni ecc.) utili non solo agli interessati ma anche per nuove entrate a bilancio. Spicca infine l'assenza dei ministri di diverse confessioni religiose che, grazie all'Intesa con lo Stato nel 2012, hanno ottenuto di iscriversi al Fondo solo volontariamente.
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