venerdì 29 gennaio 2016
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​Web, mouse, email... nell’era digitale tutti dobbiamo masticare un po’ di inglese. L’inglese è la moderna “lingua franca”, cioè quella usata per convenzione per comunicare in tutto il mondo, specialmente in alcuni settori come la scienza e l’economia. Fino a pochi secoli fa, la lingua comune tra scienziati, filosofi e politici era il latino.Tutto questo, direte voi, che c’entra con la musica? C’entra eccome: perché l’italiano, che nel mondo non è di certo l’idioma più parlato, è la lingua franca della musica. Se aprite uno spartito, potrete trovare stampate qualcuna di queste parole: “allegro”, “largo”, “andante con moto”, “presto con fuoco”... Sono termini che indicano l’andamento di un brano. Questi vocaboli sono usati in Giappone come in Argentina, così come quelli che indicano le variazioni di velocità ed espressione: “diminuendo” e “crescendo”, “rallentando” e “accelerando”. E naturalmente “a tempo”, per tornare all’andatura iniziale. I livelli di intensità del suono vanno dal “pianissimo” al “fortissimo”, indicati in partitura da PP a FF. Ma Verdi, per dire che voleva la musica proprio “forte”, un volta di F ne scrisse in fila ben quattro: FFFF. Più o meno “fortissimissimo”!Se in italiano sono la gran parte di indicazioni tecniche come “staccato” e “legato”, derivano dalla nostra lingua anche alcuni nomi di strumenti. Pianoforte è diventato in molte lingue semplicemente “piano”, mentre violoncello è stato accorciato in “cello”. E che dire di “soprano” e “opera”?Quando l’italiano è diventato la lingua franca della musica? Nel Settecento, proprio quando perde terreno il latino. Sono gli stessi anni in cui il melodramma e la musica strumentale del nostro Paese conquistano l’Europa. La musica di Vivaldi è un successo continentale e con lei si diffonde anche la lingua in cui è scritta. Dall’Italia partono eserciti di musicisti che colonizzano un territorio che da Madrid passa per Londra e girando per Stoccolma arriva a San Pietroburgo. Musica e poesia: in italiano sono i libretti d’opera sono in italiano, anche se i compositori parlano tedesco – pensiamo ad esempio a Mozart. Bisognerà aspettare il Romanticismo e il nazionalismo(ossia il “culto” della propria nazione, considerata superiore rispetto alle altre) per vedere i primi termini stranieri, specie in Germania. Le cose cambiano davvero solo nel Novecento con l’arrivo del jazz e del rock. Ma non riusciranno mai a scalzare del tutto l’italiano. La riprova? Sapete cosa si urla in tutto il mondo alla fine di un concerto? “Bravo”, naturalmente.
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