mercoledì 21 maggio 2025
L'invito di Bergoglio ad «andare a vedere». come aveva fatto lui, così attento e sensibile al mondo della comunicazione ma anche inflessibile critico delle sue disattenzioni e insensibilità
Le scarpe consumate di papa Francesco, monito ai giornalisti a "consumarsi le suole"

Le scarpe consumate di papa Francesco, monito ai giornalisti a "consumarsi le suole" - ANSA

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Quelle scarpe consumate indossate da papa Francesco nel suo viaggio verso la Casa del Signore parlano ancora oggi, nel trigesimo della sua morte, a noi giornalisti. L’ennesimo invito di Bergoglio così attento e sensibile al mondo della comunicazione ma anche inflessibile critico delle sue disattenzioni e insensibilità. Ogni suo messaggio in occasione della Giornata mondiale delle comunicazioni sociali è stato così per noi una vera lezione a partire da quello più famoso. Proprio per la citazione delle scarpe consumate. Il rischio di «un’informazione costruita nelle redazioni, davanti al computer, ai terminali delle agenzie, sulle reti sociali, senza mai uscire per strada, senza più “consumare le suole delle scarpe”, senza incontrare persone per cercare storie o verificare de visu certe situazioni».

Papa Francesco sapeva molto bene cosa voglia dire consumare la suola delle scarpe. Lo ha fatto nei suoi lunghi viaggi, nelle visite alle periferie romane, negli incontri con le realtà più fragili come i carcerati e i migranti. E lo indicava anche a noi giornalisti. «Per poter raccontare la verità della vita che si fa storia è necessario uscire dalla comoda presunzione del “già saputo” e mettersi in movimento, andare a vedere, stare con le persone, ascoltarle, raccogliere le suggestioni della realtà, che sempre ci sorprenderà».

Nella sua “lezione”, che è lezione di vita, Francesco ci indicava alcuni verbi: «Andare e vedere», «Ascoltare» e «Parlare con il cuore». Che erano poi il suo modo di essere, li indicava a noi ma vivendoli lui in prima persone. Come se ci volesse dire «vedete, si può fare». Così, diceva, «nella comunicazione nulla può mai completamente sostituire il vedere di persona. Alcune cose si possono imparare solo facendone esperienza. Non si comunica, infatti, solo con le parole, ma con gli occhi, con il tono della voce, con i gesti». È «l’ascolto di chi abbiamo di fronte, faccia a faccia». E come non vedere in quelle le parole i suoi incontri, gli abbracci, le carezze, la tenerezza, il sorriso. Invece, denunciava, «spesso “ci si parla addosso”. Questo è sintomo del fatto che, più che la verità e il bene, si cerca il consenso; più che all’ascolto, si è attenti all’audience».

Ѐ l’essere notizia noi invece delle notizie che raccontiamo. Bergoglio non usava mezze misure. «Non si fa buon giornalismo senza la capacità di ascoltare. Per raccontare un evento o descrivere una realtà in un reportage è essenziale aver saputo ascoltare, disposti anche a cambiare idea, a modificare le proprie ipotesi di partenza». È il «non fermarsi alla prima osteria», che ci hanno insegnato i nostri “maestri” di giornalismo. Solo così, ed era il terzo passaggio di Francesco, è possibile «“parlare con il cuore”. È il cuore che ci ha mosso ad andare, vedere e ascoltare ed è il cuore che ci muove a una comunicazione aperta e accogliente».

È raccogliere i tanti gridi di aiuto che arrivano dai luoghi di sofferenza, e da chi «fa bene il bene». Un parlare al cuore perché «è urgente affermare una comunicazione non ostile. È necessario vincere l’abitudine di screditare rapidamente l’avversario, attribuendogli epiteti umilianti, invece di affrontare un dialogo aperto e rispettoso». Ma è necessario «in particolare il senso di responsabilità degli operatori della comunicazione, affinché svolgano la propria professione come una missione».

Rileggendo queste parole di papa Francesco mi domando quanto giornalismo ci sia oggi con queste qualità. Quanti consumano la suola delle scarpe? Pochi, troppo pochi. Tanti, troppi, pensano che bastino un computer, qualche sito, le agenzie e, peggio, i social. Un “sentito dire” più tecnologico, ma sempre “sentito dire”, non esperienza diretta. E spesso non verificato. Solo condividendo queste realtà è possibile veramente raccontarle. Come ha fatto lui, fino alle ultime ore di vita, con gli ennesimi appelli per i migranti. Gli stessi che aveva fatto a noi giornalisti. «Per vincere i pregiudizi sui migranti e sciogliere la durezza dei nostri cuori, bisognerebbe provare ad ascoltare le loro storie. Dare un nome e una storia a ciascuno di loro. Molti bravi giornalisti lo fanno già. E molti altri vorrebbero farlo, se solo potessero. Incoraggiamoli! Ascoltiamo queste storie! Ognuno poi sarà libero di sostenere le politiche migratorie che riterrà più adeguate al proprio Paese. Ma avremo davanti agli occhi, in ogni caso, non dei numeri, non dei pericolosi invasori, ma volti e storie di persone concrete, sguardi, attese, sofferenze di uomini e donne da ascoltare». Ma bisogna consumare la suola delle scarpe. Noi come lui.

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