mercoledì 12 aprile 2017
La Messa in "Coena Domini" con la lavanda dei piedi fra i collaboratori di giustizia e i malati di tubercolosi. Parlano il vescovo di Palestrina, Domenico Sigalini, e il cappellano del penitenziari
Papa Francesco mentre lava i piedi ai detenuti del carcere romano di Rebibbia nel Giovedì Santo del 2015

Papa Francesco mentre lava i piedi ai detenuti del carcere romano di Rebibbia nel Giovedì Santo del 2015

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I collaboratori di giustizia, da una parte. I detenuti malati di tubercolosi, dall’altra. Sono le due “anime” che compongono il “popolo” della Casa di reclusione di Paliano, in provincia di Frosinone e diocesi di Palestrina. Una struttura che il 13 aprile, Giovedì Santo, si trasformerà idealmente nel Cenacolo dove il Signore celebrò l’Ultima Cena. Perché papa Francesco l’ha scelta per la Messa in “Coena Domini” che presiederà nel pomeriggio alle 16.30 lavando i piedi ad alcuni detenuti, come ha reso noto la Sala Stampa vaticana.


«È davvero una sorpresa», spiega il vescovo di Palestrina, Domenico Sigalini. Nel giorno dell'annuncio il presule aveva in programma una delle catechesi quaresimali con i carcerati di Paliano. «Hanno saputo dell’arrivo del Papa dalla radio – racconta Sigalini –. Io ho confermato loro la notizia dopo essere stato avvertito dalla Santa Sede. Sono felici, entusiasti che Francesco venga appositamente per loro». La visita sarà in forma privata. «Non ci saranno autorità. Neppure io sarò presente – precisa il vescovo –. Sarà un pomeriggio dedicato tutto ai detenuti che il Papa ama e che sono alle prese con un percorso di ricostruzione della propria dignità. Del resto, come ha più volte detto Francesco, la prigione non può essere un luogo di degrado per le condizioni prive di umanità che talvolta si possono sperimentare ma di rieducazione e reinserimento sociale». Aggiunge il cappellano del carcere, don Luigi Paoletti: «Sono ancora commosso. I detenuti mi avevano chiesto insistentemente che il Papa andasse da loro. Hanno scritto tante volte, lo desideravano con un’immensa gioia».


Sono una settantina i carcerati, fra uomini e donne, che vivono nella Casa di reclusione, una fortezza del XVI secolo rimaneggiata nell’Ottocento quando fu creato anche il sanatorio per chi è affetto da Tbc. Cinquantaquattro celle che formano un istituto “particolare” perché dedicato ai collaboratori di giustizia che «stanno scontando pene molto lunghe e alcuni vivono in isolamento», chiarisce il cappellano. E Sigalini fa sapere: «Il Papa li incontrerà tutti, anche chi è sottoposto a un regime detentivo rigido». La filosofia educativa di Paliano è quella di mettere a frutto il tempo dietro le sbarre attraverso lavori di restauro, cura dell’orto e impegno anche nella pizzeria interna.


Chi lo frequenta parla di «un paesino nel paese che vive di vita propria», spiega l’associazione Antigone. Benché si svolgano commemorazioni storiche o visite programmate agli affreschi della fortezza, nessuna attività che ha rapporti con l’estero coinvolge i collaboratori di giustizia (anche per ragioni di sicurezza). «I detenuti si alternano e le presenze sono in continua evoluzione – afferma il sacerdote –. Ma il numero è sempre questo: una cinquantina gli uomini, poi altri dieci o quindici nel sanatorio e da quattro a sette donne. Nel reparto per i malati la maggioranza è costituita da stranieri; però ci sono anche italiani che hanno contratto la malattia in situazioni di disagi». Don Paoletti sottolinea il particolare legame che i carcerati hanno instaurato idealmente con Francesco. «Lo sente vicino per il fascino che riesce ad emanare, soprattutto nella sua compassione per chi soffre, per chi ha sbagliato, per chi è caduto e chi ha soprattutto il coraggio di rialzarsi. La gran parte di loro avverte il senso di misericordia, di amore, di accoglienza che il Papa ha verso i detenuti».


Fin dall’inizio del suo pontificato Francesco ha scelto alcuni luoghi di difficoltà per celebrare la Messa in “Coena Domini”. Nel 2013 – anno della sua elezione – il Papa è andato nel carcere minorile di Casal del Marmo. Le altre Messe del Giovedì Santo sono state celebrate alla Fondazione Don Gnocchi per disabili e persone non autosufficienti (2014), nel carcere di Rebibbia (2015) e, l’anno scorso, tra i rifugiati e richiedenti asilo del centro Cara di Castel Novo di Porto. Da sempre Bergoglio ha una particolare attenzione per il mondo delle carceri e spesso nei suoi viaggi incontra i detenuti: da ultimo, a San Vittore, durante la sua visita a Milano dello scorso 25 marzo.

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