sabato 12 marzo 2011
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Gentile direttore,tra pochi giorni cominceremo a celebrare solennemente il 150°anno dell’unità d’Italia. Penso che siamo chiamati a vivere la ricorrenza compatti e convinti. I valori nazionali di un popolo, come da Avvenire già ampiamente menzionato, si identificano nella bandiera. Questa, nella forma e nei colori, riassume la storia di un popolo e aiuta a capire le sue radici.L’unità d’Italia non è stata un susseguirsi di eventi indolori: si è realizzata con impegno, rinunce, errori e soprattutto col sacrificio della vita di tanti nostri cari. Questi hanno realizzato l’unione per assicurare ai posteri, un futuro migliore e una patria dai confini ben delimitati. Ecco allora il verde che rappresenta: la speranza, le pianure, le valli, i monti e la bellezza del nostro territorio; il bianco che oltre alle cime innevate delle Alpi, indica anche l’innocenza, la mitezza, la trasparenza, la fedeltà alla Costituzione con il rispetto e l’osservanza delle leggi; il rosso indica l’amore per la Patria che è poi carità, condivisione, servizio, solidarietà e ricerca della pace.Concludendo: il tricolore esprime Amore puro liberamente condiviso, cardine sul quale costruire un futuro operoso e autenticamente umano. Ai miei tempi, questi valori e ideali, seminati e trasmessi dai genitori, erano sminuzzati non solo sui banchi di scuola, ma anche durante il servizio di leva, che rappresentava, così, un periodo di autentico addestramento all’unità. Oggi trasmettere questi valori ai giovani è difficile. Infatti tante famiglie si sfilacciano, altre si rompono. Poi una cospicua fetta della società segue la moda della divisione, il contrario della condivisione e tutto ciò comporta un aumento sempre maggiore di giovani privati di quei punti positivi di riferimento. Alla scuola vengono assegnati vari compiti, anche non specifici, e la si incarica di spiegare e trasmettere valori che spesso non sono stati seminati prima.Con rammarico e tristezza rilevo che moralmente e culturalmente stiamo peggiorando. Mi chiedo: oggi, nella quotidianità dei nostri ragazzi, come si fa per educare a tale riconoscimento e rispetto?

Giovanni Battista A. Gandelli, Milano

Impegnarsi a "leggere" il tricolore è un esercizio antico e un po’ retorico. Ma devo dire, gentile signor Gandelli, che la passione e l’emozione che traspaiono dalle sue parole mi hanno colpito. Ho tenuto la sua lettera sulla scrivania, con alcune altre, altrettanto intense e di diverso argomento, quasi aspettando il momento giusto per rispondere. Ma in realtà la questione che lei pone è di quelle che godono, purtroppo, di una permanente e persino lancinante attualità. Alla sua domanda – come si fa, oggi, a trasmettere i grandi valori che fanno sentire "popolo"? – si può rispondere in modi lunghi e complicati, ma io vorrei farlo nella maniera più semplice: prima di ogni altra cosa bisogna non avere paura di tornare a dire con chiarezza che amare la propria terra è giusto e bello e che essere utili al proprio Paese non è solo un dovere, ma è un onore. A me hanno insegnato ad amare l’Italia, e per questa via ho imparato ad amare il mondo e a credere, da cristiano e da italiano, che è davvero la casa di tutti nella quale dobbiamo imparare ad abitare e a muoverci con libertà e rispetto, sapendo di essere "condomini" e mai padroni assoluti. La consapevolezza di sé, il senso del "servizio" e la solidarietà s’imparano in famiglia, si sperimentano nella dimensione della comunità ristretta, si spendono o, meglio, s’investono nell’apertura alla comunità più grande... Può suonare retorico, ma è così. E so che a forza di fuggire dalla retorica (vera o presunta) abbiamo finito per rendere virtuale la trasmissione di idee e valori che, come lei dice, sono invece essenziali per costruire l’uomo e il cittadino.Un altro grande errore – ne sono convinto da anni – è stato quello di aver sospeso la leva militare obbligatoria e la sua alternativa, il servizio civile svolto dagli obiettori di coscienza (tanto più che l’attuale servizio civile volontario è ridotto ai minimi termini, come Avvenire ha segnalato più volte). Credo, infatti, che sia potentemente formativo imparare che bisogna 'dare' un po’ della propria vita alla comunità di cui si è parte e che esiste come tale per cultura e fatica e allegria e fede.Credo, insomma, che sia importante che ai giovani si faccia capire che c’è un tempo di vita che è giusto dare per sé ma non solo per sé – per quel 'noi' evocato così bene qualche tempo fa dal cardinale Bagnasco – e che non si tratta di un saldo, ma di un acconto. Perché questo è vivere in pienezza da uomo o da donna, dentro la lunga vicenda di un popolo e di un Paese che sono "nostri".
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