Caro direttore,
va molto di moda il paragone Covid-guerra, ed è curioso che a proporlo più spesso non sia chi soffre, ma chi deve rinunciare a qualche baldoria. Comunque, andrebbe ricordato che in guerra, neanche la casa (dove oggi riteniamo di dover stare troppo) era un luogo sicuro, anzi: capitava di sentire rombo di aerei, un sibilo e poteva essere la fine. E poi le ultime restrizioni sono molto più dolci e calibrate di quelle di marzo/aprile 2020: ora si può fare quasi tutto, dal lavoro allo sport, eccetto ovviamente in quei contesti (bar, ristoranti, teatri, stadi, ecc.) dove l’assembramento è inevitabile... ma non indispensabile! Certo, si perde tanta socialità e dispiace a tutti, ma potrebbe essere l’occasione per imparare a distinguere tra socialità e frivolezza, tra stare insieme e incontrarsi: e anche qui è curioso come si continui a idolatrare la comunicazione via web, per poi lamentarsi – anche furiosamente – per la mancanza del contatto fisico. Ma ancora più curioso è un discorso ascoltato più volte dopo le recenti, copiose nevicate su Alpi e Appennini: «Ecco, erano 20 anni che non nevicava così a Natale e gli impianti da sci devono restare chiusi». Con tutto il rispetto e la comprensione per i gestori di questi impianti, le domande da porsi dovrebbero essere: come mai dopo vent’anni nevica a Natale dopo quasi un anno di limitazioni (quindi di minor inquinamento su diverse aree del Paese, non tutte purtroppo) a causa del Covid- 19? Come mai le due ondate del virus sono esplose (ci sono dati statistici inequivocabili) dopo periodi con temperature superiori alla media e piovosità quasi azzerata? Se non capiamo queste cose, possiamo anche vaccinarci – è giusto farlo e speriamo conti –, ma non risolviamo il problema, nascondiamo la polvere sotto il tappeto.
Alberto Albertini Pavullo (Mo)
Non anticipo mai, per indole e per mestiere, le conclusioni su una vicenda ancora aperta. E quella del Covid-19 è una storia faticosa e tragica che purtroppo stiamo ancora vivendo e alla quale dobbiamo riuscire a dare, oltre lutti e impoverimenti, un senso utile e buono. Ma condivido con lei, caro signor Albertini, la convinzione che non si può evitare di fare fino in fondo i conti con la grande questione in cui si iscrive anche l’attuale pandemia, e cioè il giusto rapporto tra esseri umani e ambiente.