Una preghiera per l'Italia ferita
martedì 25 febbraio 2020

Caro direttore, la realtà chiama e costringe a riflettere e a prendere atto. Il nostro quotidiano è stato investito, con durezza, da una pandemia che tutti ci chiediamo come poter affrontare e limitare per uscirne, se possibile, vincitori o, quanto meno, ammaccati al minimo. Si avverte un clima di incertezza, di timore e di inquietudine. Posto che ciascuno e ciascuna di noi abbia il suo ruolo nella società e nel microcosmo in cui vive la propria esistenza, in questo momento è la dedizione, l’acutezza nel percepire il bisogno altrui ed essere capaci di sopperirlo che urge.

Medici e personale infermieristico si trovano in prima linea, correndo il pericolo del contagio in prima persona, sottoposti a turni di lavoro che affaticano. Chi deve vigilare e predisporre cordoni e misure contenitive è all’erta. Alcune località sono isolate e appaiono spettrali. Ragazzi e ragazze che, con l’allegria tipica della gioventù si dirigono alle rispettive scuole, devono rimanere a casa. Un quadro che non può non risvegliare un sussulto nella coscienza. In quella civica indubbiamente, ma anche, e forse soprattutto, in quella credente.

Nel contesto che sta affrontando la nazione può contare sulla presenza disseminata nel territorio di tanti monasteri da cui deve levarsi un grido di aiuto al Creatore e un grido di soccorso per chiunque condivida il percorso terreno nella storia. Non che l’orante voglia escludere la ricerca del vaccino o ne rifiuti la somministrazione; neppure perché consideri tutte le misure adottate superflue. Il grido al Padre presuppone ogni attenzione civile ma punta sulla coscienza di tutti e di tutte, perché si aprano all’intercessione. Non con gesti magici o apotropaici, non con scongiuri. L’atteggiamento interiore è la certezza che lo Spirito creatore non ha aleggiato una volta sulle acque e poi si è ritirato in un’immagine biblica statica lasciata in eredità nei secoli, ma è perenne vitalità creativa. Lo Spirito creatore continua ad aleggiare, proprio come l’uccello madre sul nido dei suoi piccoli, li protegge, li nutre. Questa è creazione in atto, sguardo dell’Altissimo sulle sue creature che, in questo momento, gemono e fanno fatica a riconoscere il Suo progetto di amore perché colpite dalla violenza della pandemia.

Forse può rendere il nostro sguardo meno miope, consentendoci di ricordare le tante malattie che colpiscono tanti Paesi ma, nella loro distanza geografica, non ci disturbano molto o, addirittura, ci lasciano indifferenti. La sete che tormenta popolazioni intere, le cavallette che invadono i territori e distruggono i raccolti, annunciando carestia, fame e morte per inedia. E gli atti compiuti in nome di un’economia che guarda esclusivamente al profitto, al guadagno, lasciando che siano le persone a pagare il conto con la difficoltà dell’esistenza e persino con la morte certa. Alle monache, ai monaci, a chi spende la propria vita nella preghiera d’intercessione, ora, proprio ora, è richiesto un risveglio, un sussulto profondo e una solidarietà che permei il tempo e attraversi lo spazio: un grido che salga al Padre e laceri ogni coscienza adiposa e dormiente. Una preghiera corale si levi dunque dai monasteri del nostro Paese, una preghiera che abbracci tutti e ognuno: i malati nel loro isolamento, le famiglie nelle loro paure e trepide attese, i medici e gli operatori sanitari, i volontari delle ambulanze. Tutti ma proprio tutti siano nel cuore delle monache e dei monaci.

*carmelitana scalza e biblista

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI