sabato 26 marzo 2022
Il presidente americano Biden alza il tiro: il "dittatore" non può rimanere al potere. Così i negoziati diventano più difficili. La scommessa Usa sulla debolezza del Cremlino, opportunità da sfruttare
Giorno 31, la difesa di Kiev diventa una guerra Usa per procura contro Putin?
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Si alzano i toni fra la Casa Bianca e il Cremlino, mentre la guerra in Ucraina, arrivata al suo 31° giorno, assume nuovi connotati. Le parole durissime di Biden in Polonia davanti ai profughi - "Putin è un macellaio" -, poi il suo discorso a Varsavia, in cui ha elencato le azioni intraprese per fermare l'invasione russa e le conseguenze che Mosca ha subito e ancora rischia spostano inevitabilmente i contorni della crisi. "Questo uomo non può restare al potere, è un dittatore che cerca di ricostruire un impero", ha scandito il presidente americano, rivolgendosi ai polacchi, ai quali ha ripetuto la famosa invocazione di Papa Giovanni Paolo II: "Non abbiate paura".

Rivediamo brevemente il film delle ultime settimane. La Russia comincia ad ammassare truppe al confine ucraino. Gli Stati Uniti manifestano preoccupazione e lanciato moniti al Cremlino. L'escalation militare e quella verbale di Putin proseguono e la Casa Bianca, nello scetticismo degli alleati, annuncia con crescente sicurezza che Mosca lancerà un'offensiva contro l'Ucraina non limitata alle zone contese dell'Est. Alla vigilia, l'Amministrazione fa sapere: tra poche ore scatterà l'invasione. E così è stato, il 24 febbraio. A quel punto anche gli analisti del Pentagono non scommettevano su una lunga resistenza dell'esercito di Kiev. Certo è ben addestrato e armato, anche grazie alla Nato, ma si temeva la forza dell'Armata russa che, apparentemente, aveva pianificato nei dettagli l'operazione e contava su una superiorità schiacciante in uomini e mezzi.

La risposta militare ucraina è guidata anche da Washington con informazioni di intelligence. Il fronte occidentale si dimostra compatto e scattano subito sanzioni che mordono l'economia di Mosca e cercano imporre l'isolamento del Paese. Dopo alcuni giorni di combattimenti, i dati dal terreno e i rapporti redatti dai generali mutano di segno. Le forze di Kiev reggono l'urto, anche se a prezzo di devastazioni delle città e stragi di civili. L'avanzata russa è lenta, le perdite sono consistenti, le tattiche non sono efficaci, la logistica è inefficiente. Intanto, cominciano i segnali di nervosismo al Cremlino e le voci di dissensi e purghe interne.

Sul campo molto si vede in tempo reale, ma non tutto è chiaro sul reale svolgimento del conflitto. Chi sta vincendo? A giorni alterni sembrano maggiori i successi degli invasori e quelli dei resistenti. Nei quartieri generali a Washington, Londra e Bruxelles, tuttavia, si conoscono maggiori particolari. E forse si fa largo una diversa lettura delle prospettive della crisi. Resta genuina la volontà di difendere un Paese ingiustamente sotto attacco e un popolo che subisce crimini di guerra su larga scala. Ma forse si affaccia anche un'altra lettura.

Se la geopolitica americana guardava ormai alla sfida con la Cina, vero avversario planetario su vari fronti (economico, politico, tecnologico), e aveva lasciato poco spazio a un confronto con Mosca, ritenuta potenza rilevante ma non minaccia imminente, nelle ultime due settimane qualcosa appare mutato. La Casa Bianca potrebbe vedere ora la debolezza di Putin, vittima del suo stesso passo avventato. Di qui la scelta di dare più armi a Kiev e alzare il tiro verbale sul presidente russo, cercando forse di smuovere chi nel suo entourage non pensa che lo Zar stia ancora facendo il bene del suo Paese.

La guerra di difesa combattuta da Zelensky e dal suo popolo diventerebbe così una guerra per procura contro il "dittatore", nel tentativo di ottenere una mezza vittoria ucraina e, quindi, una mezza sconfitta russa con le conseguenze probabili che ne potrebbero discendere. Quello americana è una sfida piena all'uomo forte del Cremlino, che forse dovrà abbozzare e "accontentarsi" di trattare sul Donbass, rinunciando alle altre pretese che all'inizio dell'offensiva sembravano a portata di mano, come la neutralità e il disarmo dell'intera Ucraina. Ma la scelta può essere anche un azzardo, se Putin vorrà tentare di uscire da questa morsa e cercare comunque un successo pieno, anche con il ricorso ad armi non convenzionali.

A Biden potrebbe bastare un Putin indebolito, che siede al tavolo dei negoziati, e che si mostra al mondo tutt'altro che invincibile, con la sua Armata spuntata e incapace di avere ragione della "piccola" Ucraina. Vorrebbe dire consegnarlo nelle mani di Pechino. Però nemmeno alla Cina potrebbe forse convenire l'abbraccio indissolubile con un paria della comunità internazionale. Il nuovo profilo della guerra può dunque riservare sorprese e svolte improvvise.



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