lunedì 4 aprile 2022
La Russia nega le stragi a Bucha e parla di falsi. Una strategia che mira a fare dubitare delle atrocità compiute. La Corte penale dell'Aja non è riconosciuta da Mosca, che all'Onu ha potere di veto
Guerra e crimini, giorno 40. Ecco perché fare giustizia sarà molto difficile
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Il presidente americano Joe Biden ha chiesto un processo al presidente russo Vladimir Putin per crimini di guerra. Sembra una situazione paradossale e incredibile, se pensiamo a quaranta giorni fa. Si era alla vigilia dell'invasione dell'Ucraina e gli Stati Uniti, con una previsione azzeccata, annunciavano l'imminente offensiva tra lo scetticismo generale. Poi sono partiti i missili, sono decollati gli aerei e i carri armati hanno superato la frontiera. Nel Nord del Paese la battaglia ha subito infuriato. Molti villaggi e cittadine sono stati conquistati, mentre la capitale, anche grazie alle informazioni di intelligence Usa, resisteva. Proprio in quei villaggi e in quelle cittadine sono stati commessi efferati delitti sui civili: torture, stupri, esecuzioni sommarie, spari su gente in fuga. Le vittime sono centinaia. Migliaia quelle a Mariupol nel Sud. In tutti i casi, vi sono fotografie e testimonianze convergenti. Il presidente Zelensky, mettendo a rischio la propria incolumità, si è recato personalmente a Bucha, diventata il luogo simbolo delle atrocità commesse dalle truppe russe.

Mosca, di fronte a tutto ciò, nega risolutamente la propria responsabilità, parla di situazioni e immagini costruite ad arte, di massacri di cittadini filorussi da parte ucraina e, persino, di falsi in piena regola. Naturale che non vi sia alcuna ammissione. La macchina della propaganda, con un meccanismo astuto, cerca di sfruttare i dubbi che spesso accompagnano l'attribuzione delle stragi in guerra. Si dice spesso "la verità sta nel mezzo". Quindi, se dal Cremlino si costruisce una contro-narrazione esagerata da opporre alla denuncia di Kiev, il risultato può essere una mezza verità in cui l'Armata d'invasione ha sì commesso alcuni crimini, ma gli ucraini cinicamente inscenano eccidi che non sono mai esistiti. Qualcosa di simile si è già sentito anche in Italia da parte degli scettici a oltranza sulle nefandezze dell'esercito di Putin. C'è persino chi ha evocato una "fiction". L'altra strategia è quella di chiamare in causa le responsabilità altrui per altre vicende: "L'America pensi prima all'Iraq". Come se le malefatte di altri in passato rendessero meno gravi quelle di cui si sta discutendo.

Ecco allora che la domanda "Quanto c'è di vero?" rimbalza fuori luogo e chiederebbe una risposta chiara e univoca, capace di spazzare e tacitare i dubbi strumentali. In primo luogo, come in tante altre occasioni (l'11 settembre, per fare un esempio) è difficile pensare che si possa organizzare un complotto e una messinscena che comportano la partecipazione attiva di migliaia di persone senza che nulla trapeli. Certo, ora siamo solo a un paio di giorni dalle rivelazioni (ed è comprensibile l'enfasi da parte ucraina), ma sul posto vi sono molti reporter internazionali di vari Paesi, non tutti necessariamente schierati al fianco dell'Ucraina al punto da mentire ed essere complici di una macchinazione per incolpare il Cremlino. L'Unione Europea ha poi annunciato la costituzione di una commissione d'indagine. Soprattutto, vi sono i tribunali sovranazionali.

Qui, tuttavia, sorge il problema verso la verità e la giustizia. Nel caso dell'ex Jugoslavia, per esempio, si è potuta costituire una corte ad hoc indipendente che ha raggiunto importanti risultati. Per Bucha, i candidati principali sono le Nazioni Unite e la Corte penale internazionale dell'Aja, costituita proprio per sanzionare i crimini di guerra. A quest'ultima la Russia non ha ratificato l'adesione, rimanendo quindi fuori dalla sua giurisdizione. I procuratori possono indagare, come hanno già cominciato a fare sulla base di un'ampia documentazione, ma non possono contare sulla collaborazione di Mosca, che quindi non consegnerebbe gli eventuali responsabili delle stragi. Per quanto riguarda l'Onu, emergono di fronte al conflitto scatenato dal Cremlino i limiti e le rigidità dell'Organizzazione nata per cristallizzare gli equilibri emersi dalla Seconda guerra mondiale. Il Consiglio di Sicurezza è composto da 5 membri che hanno il potere di veto a qualunque iniziativa, compresa la riforma dell'Onu stessa. In questo modo, Usa, Urss prima e ora Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna si garantiscono anche la potenziale immunità da inchieste scomode.

Le democrazie non si sottraggono alle proprie responsabilità (anche se gli Stati Uniti non partecipano alla Corte penale internazionale), ma le autocrazie di solito lo fanno. Pertanto, è molto bassa la probabilità che Putin acconsenta a un processo, non a se stesso ovviamente, ma nemmeno ad alcuni suoi militari indiziati (e presunti colpevoli) di gravi delitti. In questo modo, il Cremlino potrà continuare a negare gli orrori di Bucha, di Mariupol e delle prossime città martiri dell'Ucraina. Una risposta di chi non si rassegna all'inerzia davanti all'orrore è quella di aumentare le sanzioni e l'isolamento di Mosca affinché si convinca Putin a un vero negoziato che contempli anche, nelle condizioni della tregua, l'istituzione di un organismo super partes incaricato di fare chiarezza definitiva su quelle che già oggi appaiono insopportabili e incontrovertibili atrocità. Sarebbe un notevole successo, sapendo che vedere il presidente russo alla sbarra è per ora totalmente irrealistico e anche solo evocare l'eventualità non fa che rendere più difficili le trattative.

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