Tra umanitari e istituzionali una fiducia da rinsaldare
martedì 8 agosto 2017

Caro direttore,

quello che sta accadendo con la polemica politico-mediatica, le denunce e le relative ricadute giudiziarie sui salvataggi in mare da parte di imbarcazioni di Ong non deve sorprenderci. Chi conosce un po’ le questioni internazionali sa bene che si tratta di un ennesimo capitolo della contesa tra le prerogative degli Stati e la libertà della persona umana di aiutare chi vuole e dove vuole. L’Onu sta al centro di tale divergenza: in mezzo tra i due princìpi che sono entrambi costitutivi della comunità internazionale. Da una parte esiste il principio più antico, quello di « non ingerenza negli affari interni di uno Stato». Si badi bene: tale principio fu stabilito dai vincitori della Seconda guerra mondiale 'contro' le pretese naziste di ingerirsi negli affari di altri Stati, con la scusa di difendere una minoranza legata alla propria etnia (in principio fu l’annessione dei Sudeti) o propri ipotetici diritti di spazio socio-economico ( lebensraum). Sul principio di non ingerenza si è poi costruita la comunità internazionale come la conosciamo oggi: ogni Stato rispetta i confini dell’altro, per piccolo che sia. Ogni qualvolta tale principio è violato, la comunità internazionale ne riceve una ferita e, spesso, reagisce.

Il secondo principio è più giovane, si è affermato attorni agli anni Settanta del Novecento, ed è quello di « ingerenza umanitaria». Si è progressivamente affermato con il sostegno delle democrazie, in particolare europee, e ha dato luogo alla nascita di un nuovo attore internazionale, oggi molto influente, appunto le Organizzazioni non governative. Secondo tale principio esiste una 'neutralità' della società civile (i «popoli» dell’articolo 1 della Carta dell’Onu), che autonomamente dai governi si organizza per soccorrere e salvare vite umane in base al diritto internazionale umanitario. Dobbiamo ricordare che quest’ultimo è più antico della stessa Carta dell’Onu: nasce con le convenzioni di Ginevra di inizio secolo scorso e si incarna con la creazione del Comitato internazionale della Croce Rossa. Come sappiamo il Cicr ha mandato internazionale di intervenire 'oltre' le prerogative degli Stati, senza schierarsi, in cambio di assoluta imparzialità e neutralità. Ma vi sono altri esempi emblematici, come per esempio la nascita della britannica Oxfam che decise di aiutare le vittime durante la Prima guerra mondiale, senza distinzioni di nazionalità, creando scandalo a Londra. Il principio di ingerenza umanitaria lo possiamo datare con la guerra del Biafra e la nascita di Médecins sans Frontières, Ong premio Nobel per la pace.

Tra i due princìpi esiste, è evidente, una frizione: gli Stati autoritari hanno sempre criticato l’ingerenza delle Ong nei loro «affari interni». Ma le Ong hanno sempre sostenuto il loro diritto di intervenire per salvare vite e non lasciare le popolazioni civili nelle sole mani degli Stati, spesso mossi dalle loro agende. Nelle guerre d’Africa ciò è chiarissimo: signori della guerra e gerontocrati non possono schermarsi dietro il principio di non ingerenza se fanno dei loro popoli carne da macello. Finché esisteva il bipolarismo, il blocco dell’Est ha sempre utilizzato il principio di non ingerenza e combattuto quello di ingerenza umanitaria, per chiudersi a ogni influenza democratica, almeno fino agli accordi di Helsinki. Pure molti Stati post-coloniali hanno criticato e criticano il principio di ingerenza umanitaria come volto del neo-colonialismo (le grandi Ong sono tutte occidentali o quasi).

Per le democrazie il dilemma è più complesso: noi riconosciamo entrambi i princípi in base all’obiettivo della stabilità internazionale, della giustizia e della pace. Per questo le democrazie sono sempre dalla parte delle Ong quando intervengono nelle 'guerre sporche' o nelle crisi umanitarie. Le sostengono e le finanziano. L’esempio più calzante ai nostri fini è rappresentato dalla crisi dei boat people degli anni Settanta e Ottanta al largo del Vietnam, allorquando navi militari, anche italiane, e navi di Ong salvarono assieme le persone in larga parte di origine cinese perseguitate dal regime di Hanoi. L’Italia ha costruito negli anni, mediante la sua politica di cooperazione internazionale, una vera e propria alleanza con molte Ong, intestandosi battaglie globali. Ricordo qui solo le più recenti: contro la pena di morte, contro le mutilazioni genitali femminili e i matrimoni precoci. In Italia le Ong hanno potuto sempre contare sul sostegno attivo del mondo 'cattolico' e di gran parte di quello 'laico': entrambi non statalisti e sensibili – per cultura e per inclinazione – all’autonomia della società civile.

Arriviamo a oggi: fanno bene le Ong a salvare le vite in mare o la salvezza deve essere solo prerogativa di azioni dello Stato? Attualmente la magistratura ha in mano un quesito difficile da sciogliere e che segnerà il futuro delle relazioni tra Italia e mondo associativo globale libero. Come 'sanzionare' chi non rispetta alcune regole di condotta stabilite dal Governo senza introdurre – come ha titolato in prima pagina 'Avvenire' – una fattispecie di «reato umanitario» che metterebbe l’Italia tra il novero degli Stati autoritari? E quali sono queste regole? Da dove si parte per giudicare: dal diritto internazionale, che in questi anni si è profondamente evoluto nel senso dell’ingerenza umanitaria, o dalle contingenze nazionali? Consiglio sommessamente prudenza: esiste forse una propensione a certe forme di 'estremismo umanitario' da parte di alcune Ong (gelose della loro indipendenza dalle agende degli Stati), ma sarebbe assurdo opporsi nel Mediterraneo a coloro che consideriamo eroi in altre parti del mondo. Non invidio i giudici che dovranno stabilire che cosa ha davvero fatto la 'Juventa': si muovono in acque – è il caso di dirlo – molto agitate. Sappiano che gli Stati autoritari sono i più interessati a vedere quale sarà la loro azione e proveranno a strumentalizzare le loro sentenze nella guerra che conducono contro le Ong... In fondo, ovviamente mutatis mutandis, anche i magistrati italiani ben conoscono la frizione tra l’indipendenza della giustizia e chi vorrebbe controllarla.

Il Codice di condotta voluto dal ministro dell’Interno Minniti intende portare a una forma di 'recupero di fiducia' e di cooperazione tra Stato e Ong. È un fatto che globalmente, in questi anni, la fiducia tra i due mondi si è abbastanza incrinata: si pensi – con le dovute differenze – alle infinite polemiche europee sui cooperanti rapiti in zone di guerra, oppure alle contrapposizioni tra Stati europei e società civili sui diritti della famiglia, sulla scuola, o ancora al pacifismo, al dibattito su 'non c’è pace senza giustizia' e sulla Corte penale internazionale (o sul diritto di una singola giustizia nazionale di condannare persone per crimini umanitari commessi in altri Stati). Tutto molto complesso, e forse la cosa migliore è affidarsi anche stavolta al tradizionale pragmatismo italiano, che non contrappone mai umanitario in senso lato (carità, assistenza, solidarietà), diritti civili e Istituzioni; non vede nemici nella società civile ma anzi cerca di creare un ragionevole ponte.

In altre parole, non va percorsa la strada di contrapporre chi dà da mangiare a un povero, a un migrante, a un senza fissa dimora anche in presenza di una irritazione del Comune (si pensi a Ventimiglia), né quella che porta a fare dei poveri, dei migranti o degli sfollati i 'colpevoli' della loro situazione. Non si tratta solo di #RestareUmani, ma di non favorire l’odio sociale, quel risentimento diffuso che farà male a tutti: infatti la povertà e il bisogno sono condizioni oggettive e non soggettive, non nella disponibilità della scelta di chiunque (i 'nostri' e i 'loro'). Altrimenti cosa diremo a chi libera oggi gli schiavi, in certe zone d’Africa e del Medio Oriente, comprandoli dagli schiavisti? Che sono conniventi con questi ultimi? O a chi ha liberato i cristiani prigionieri del Daesh, pagando per questo? Qual è il valore più importante? Capisco la difficoltà di rispondere a tali quesiti ma il mondo è complesso e molto contraddittorio e nessuna semplificazione può renderlo diverso.

Infine un’osservazione: jihadisti, terroristi, narcotrafficanti e trafficanti di ogni risma si sono globalizzati da tempo. Rappresentano la malaglobalizzazione. Contro di essa gli Stati penano a unirsi, a causa di suscettibilità sovrane. Rinsaldiamo almeno noi italiani la giusta alleanza con le Ong, che rappresentano, con i loro limiti, la globalizzazione dell’aiuto.

*Viceministro degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale

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