Semplificare è difficile
mercoledì 8 luglio 2020

Soprattutto su un punto non si può non essere d’accordo con il premier Giuseppe Conte: la valutazione dell’impatto dell’ultimo decreto del governo «è meglio farla a saldo». Perché in Italia c’è tanto che «sembra semplice» – per riprendere il nostro titolo di ieri in prima pagina – e invece è nella realtà difficile, e nulla, qui, è arduo come voler semplificare la vita della gente e abbattere le degenerazioni burocratiche. Solo a spanne (e per stare agli ultimi anni) vengono in mente addirittura un ministero per la Semplificazione, affidato al leghista Calderoli nell’ultimo governo Berlusconi (di cui si ricorda solo uno scenografico falò di scatoloni pieni a suo dire di vecchie normative), un decreto sullo stesso tema del governo Monti (anno 2012) e una riforma del Codice degli appalti del governo Renzi (2016), che si proponeva anche di snellire articoli e direttive del vecchio codice.

Tutti atti che, alla prova dei fatti, non devono aver lasciato un gran ricordo se oggi si ricorre a un nuovo intervento, ancora più urgente in un Paese finito in un’emergenza economica senza precedenti nella storia recente. Insomma, nulla è più complesso (e faticoso) del tentare di rendere semplici le cose.

Solo il tempo potrà dimostrare l’efficacia delle norme varate all’alba di ieri. Meglio: ancora in attesa di varo, vista l’adozione dell’ormai canonica e disorientante formula «salvo intese». D’altronde, il fatto che serva un’altra azione normativa è già la certificazione di un fallimento dell’amministrazione pubblica, che dovrebbe essere 'buona' di per sé, senza necessità di ripetute riforme. In un Paese normale l’efficienza amministrativa non dovrebbe richiedere la proliferazione dei commissari (come pur sperimentato con validi risultati per il nuovo ponte di Genova), ma tant’è. In questo campo l’Italia non è un Paese normale, bensì 'malato': di burocrazia e soprattutto di corruzione, due palle al piede che anni di norme stratificate non sono riusciti ad attenuare.

Sul piano normativo, è da auspicare che il professor Conte, da esperto di diritto civile qual è, abbia dato il meglio della sua competenza. A prima vista, al di là del fatto che le deroghe sono valide per ora solo fino a metà 2021, un paio di aspetti sembrano meno convincenti: nel testo non c’è quella riduzione delle stazioni appaltanti (se ne contano più di 32mila) da più parti invocata, una scelta politica forte, che potrebbe essere efficace anche nel ridurre le 'occasioni' di corruzione; inoltre appare un po’ bizantina la nuova formulazione adottata per l’abuso d’ufficio, che prevede la punibilità del reato quando si violano regole e atti dai quali «residuino margini di discrezionalità», come se ogni legge non comportasse appunto un tale margine.

Mentre è stata cassata la norma che poteva facilitare le percentuali di subappalti, con tutto quel che comporta per la dignità dei lavoratori, e si promette il dimezzamento dei tempi della Via sulle opere pubbliche, senza sacrificare l’impatto ambientale stesso.

L’auspicio, ovviamente, è che ogni perplessità sia ora superata dai fatti. Il problema delle semplificazioni ruota in particolare attorno a 2 concetti: le autorizzazioni preventive e i controlli di legalità (da spostare quanto più possibile dall’ex ante all’ex post, ma con sanzioni che siano realmente forti ed efficaci), assieme all’altrettanto importante monitoraggio in corso d’opera dei tempi di realizzazione. La Corte dei Conti ha rilevato la «sempre maggiore complessità della materia dei contratti pubblici», affollata «da norme molteplici e disomogenee», e «una dinamica lenta nello spendere risorse per gli investimenti». Che, invece, sulla carta, sarebbero già disponibili per dare uno choc all’economia (senza per questo voler evocare l’omonimo piano di Italia viva). Potenzialità sfruttate solo al minimo.

Il Rapporto annuale sulle infrastrutture pioritarie attesta che solo l’11% dei lavori già finanziati è stato ultimato e la metà risulta ancora in una lunghissima fase di progettazione. Al di là delle norme, tuttavia, resta una diversa prospettiva culturale che va impostata, come pre-condizione di tutto: quella di comprendere che la P.A. non dev’essere un’entità oscura e superiore alla quale si devono necessariamente asservire i cittadini e le imprese – la 'cattiva burocrazia', appunto –, ma l’esatto opposto: uno strumento, cioè, al servizio degli uni e delle altre.

Dai grandi appalti alle procedure più piccole. Di recente è girato un video di Carlo Cottarelli in cui l’economista, tra il divertito e lo sgomento, raccontava la sua peripezia per il rinnovo della patente alla Motorizzazione civile: volendo andare allo sportello 'fisico' aveva poi scoperto solo lì, sul posto e senza alternative, che era obbligato invece a chiedere un appuntamento via mail, da cui avrebbe avuto poi una risposta. Un esempio forse banale, ma che fa capire come sia la somma di tante piccole novità e azioni a poter far compiere realmente un balzo di qualità alla vita degli individui. La prima semplificazione deve stare nella testa del legislatore e di ciascuno di noi. Tutto il resto, anche il piano legislativo, diverrebbe allora una logica conseguenza.

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