sabato 1 agosto 2009
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Nel fragile tessuto dell’umano si è aperto un nuovo squarcio, e ancora una volta per mano di un organismo pubblico. Tribunali, corti, dipartimenti: da qualche tempo la vita in Italia si sfregia con i timbri della burocrazia, in modo quasi indifferente. Per effetto di una nuova decisione tecnica, ora anche il nostro Paese può esibire la patente di "modernità" garantita, secondo la prevalente ideologia libertaria, dall’adozione della Ru486 da parte dell’Agenzia del farmaco (Aifa). Farmaco per modo di dire: la pillola abortiva non cura nulla ma spegne la vita, e lo fa in modo talmente efficace da uccidere anche più del dovuto. Sulla Ru486 grava una fedina penale nella quale si contano 29 vittime adulte ammesse dalla stessa azienda produttrice e molte migliaia non ancora nate. Visto che è stata progettata per estirpare la vita quando getta le prime radici nel grembo materno, spesso non distingue il bersaglio. E insieme al figlio colpisce anche la madre, con emorragie violente, dolori insopportabili, infezioni, talora letali. Ebbene: questo "farmaco" ora è legale anche in Italia. Vale a dire che – pur tra stringenti condizioni, che andranno rispettate – nei nostri ospedali potrà essere usato senza più sottostare alle complesse procedure sinora imposte da un uso "ufficioso". Una grave sconfitta per la vita, un altro affronto che il nostro Paese – quello che la vita la onora e la difende – certo non meritava.L’Aifa ha concesso il via libera tecnico al termine di un iter inesorabile che è sembrato ignorare ostinatamente le molte prove sulla pericolosità clinica e sociale di un autentico veleno anti-vita. Se l’aborto chimico, lungi dall’essere più "dolce", è infatti certamente più pericoloso di quello chirurgico (a parità di età gestazionale fino a dieci volte), perché mai viene approvato da un ente pubblico preposto a tutelare la nostra salute? Il fatto è che la pressione politica e mediatica sull’Aifa per varare la pillola abortiva si era fatta quasi insostenibile. Per aprire la breccia alla Ru486 si è infatti scatenata una formidabile campagna che – al pari di altri tristi casi recenti – alle ragioni della vita ha opposto argomenti ideologici allo scopo di centrare una nuova conquista simbolica: l’aborto fai da te. Ma che conquista, che successo può mai essere quello di una pillola ingerita in ospedale col feto espulso giorni dopo a casa, in viaggio, in ufficio, dove capita, in assoluta e agghiacciante solitudine? Come si può esultare per la banalizzazione di una tragica pratica, camuffata da terapia soft col ricorso a una rassicurante pasticca simile a un’aspirina? Proprio per queste pesanti implicazioni etiche e cliniche della Ru486 sarebbe strano che ora la decisione di sdoganarla venga archiviata come tecnicamente inevitabile, il doveroso adeguamento a ciò che accade già in quell’Europa alla quale abbiamo l’incomprensibile vezzo di invidiare il peggio, finendo quasi sempre per importarlo. Per questo vogliamo dire chiaramente che, data la sua competenza esclusiva in materia, l’Aifa porta per prima la responsabilità di una scelta grave e tutt’altro che necessaria: nessun giro di parole può nascondere la verità, cioè che è stato dato il via libera a un "farmaco" del quale gli stessi produttori ammettono la pericolosità, sia pure a denti stretti e sottovoce, quando in altri casi e con implicazioni assai meno delicate gli enti di farmacovigilanza hanno mostrato di saper osservare la massima cautela con pomate rivelatesi irritanti o antinfiammatori dagli imprevisti effetti collaterali. Di fronte a quella che è stata ribattezzata "kill pill" non c’è mutuo riconoscimento europeo dei farmaci che tenga: se di mezzo c’è la salute delle donne, invocata a gran voce quando si è trattato di picconare la legge 40, il principio secondo il quale "è l’Europa a imporci la Ru486" sarà anche burocraticamente inattaccabile ma – inutile nascondersi – è moralmente farisaico. L’Aifa però è in buona compagnia: se una parte del governo si è battuta per scongiurare questo pessimo esito, è impossibile tacere su altre precise e identificabili responsabilità politiche. La Ru486 si poteva fermare, ma non tutti quelli che potevano si sono impegnati per farlo.Visto che non ci viene risparmiato il tripudio dei soliti noti, radicali in testa, che almeno si chiamino le cose col loro nome. La Ru486 rimuove culturalmente l’aborto, isola le donne, dissimula la loro ferita, le inganna. Stanno facendo di tutto per farcelo dimenticare: ma la vita umana continua a meritare ben altro rispetto.
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