mercoledì 18 febbraio 2009
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Il risultato delle elezioni sarde è stato assai più severo, per il presidente uscente Renato Soru che le aveva provocate con le sue dimissioni anticipate e per il Partito democratico, delle più fosche previsioni. Specularmente, il successo di Ugo Cappellacci e dei suoi sostenitori del Popolo delle Libertà e dell’Udc, è stato assai ragguardevole. Silvio Berlusconi ha vinto la sua scommessa, Walter Veltroni ha perso la propria e ne ha tratto le conclusioni nel modo più radicale, rassegnando le dimissioni da segretario del Pd dopo soli sedici mesi. Un effetto così rilevante sul piano nazionale da parte di elezioni locali, a prima vista, appare del tutto sproporzionato. Solo se si considera lo stato di perenne tensione interna che attraversava già da tempo il Pd e il carattere di segnale di un cedimento strutturale del partito emerso dal voto sardo si può comprendere come questa goccia abbia fatto traboccare un vaso già colmo di difficoltà. Le sconfitte precedenti potevano in qualche modo essere attribuite a responsabilità specifiche: quella delle elezioni parlamentari all’impopolarità che aveva colpito il governo di romano Prodi nell’ultima fase della sua breve vita (comunque di due mesi più lunga della segreteria di Veltroni), quella del Campidoglio all’errore di aver riproposto un candidato che era già stato sindaco anni prima, quella abruzzese all’arresto del governatore in carica Ottaviano Del Turco. Le elezioni sarde, invece, sono state convocate da Soru, con l’appoggio del Pd nazionale, anche in contrasto con settori importanti dei democratici sardi, nella convinzione di ottenere un successo che segnasse l’inizio dell’inversione della tendenza negativa. Per questo l’esito è stato una doccia fredda alla quale il vertice del partito non ha retto. Quando sarà possibile esaminare i dati definitivi si potranno analizzare i probabili flussi in modo meno approssimativo. Già fin d’ora, tuttavia, si può ipotizzare una certa perdita di consensi del Pd verso i suoi alleati, sinistra antagonista e Idv, ma in dimensioni abbastanza contenute, e un più consistente travaso verso l’Udc, che anche per questo ottiene un risultato di tutto rilievo, nettamente superiore a quello che il partito di Pierferdinando Casini aveva conseguito in Abruzzo, dove si era presentato al di fuori dell’alleanza di centrodestra. In ogni caso, perdendo quasi in tutte le direzioni, il Pd si è allontanato nei fatti dalla 'vocazione maggioritaria' che era stata la cifra della segreteria di Veltroni. Naturalmente si è trattato di un test locale, che sarebbe scorretto proiettare sulla dimensione nazionale, ma esprime una tendenza coerente con quanto già registrato in voti precedenti e nelle rilevazioni dei sondaggi. Veltroni ha ritenuto di non essere in grado di operare un’inversione di queste tendenze, una volta che la sua speranza di averne una prima verifica in Sardegna si è dimostrata del tutto illusoria, e ne ha tratto drammaticamente le conseguenze. Non è detto però che l’operazione riesca al suo successore, transitorio o permanente che sia, specialmente se non si porrà mano alle ragioni più profonde di una difficoltà di rapporto con la società che appare il più grave dei problemi della maggiore forza dell’opposizione.
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