Per gli ostaggi. Per i bambini
giovedì 12 ottobre 2023

«Una voce si ode a Rama, un lamento e un pianto amaro: Rachele piange i suoi figli, e non vuole essere consolata per i suoi figli, perché non sono più». Quale altro pensiero di pianto oggi ci assale, dopo migliaia di anni dal testo di Geremia, oggi che la cronaca si affaccia sul kibbutz di Kfar Aza, divenuto mattatoio umano. Ora che i cronisti ci vanno consegnando le descrizioni a prova d’orrore (le immagini no, c’è un residuo brivido che le impedisce), con le granate, le fiamme, le famiglie uccise nel letto, i corpi trafitti e sfigurati, e i bambini, i 40 bambini straziati, alcuni dei quali decapitati. Quando il dolore soverchia la stessa rivolta del cuore la parola si fa muta, lo sguardo vorrebbe spegnersi: così quei sacchi neri allineati senza fine nel cortile seppelliscono agli occhi un accaduto che l’istinto sente disumano.

I bambini, che cosa c’entrano i bambini con le guerre? Le guerre sono cose da adulti, da adulti impazziti, da adulti posseduti dal demone dell’odio, che li fa capaci di crudeltà che chiamare bestiali fa torto alle fiere del bosco. I bambini sono il seme della vita, la rigenerazione del mondo, la nuova aurora che ripiana gli incubi notturni, le disfatte, le delusioni e le disperazioni della vita sciupata e proiettata verso l’imbuto della morte. I bambini, soprattutto, sono la nuova innocenza, germogliata sopra le sozzure incrostate dei padri e degli avi; sono il miracolo che rifà il mondo pulito dalle colpe, dalle vergogne, dalle macerie. I bambini sono l’anima del mondo, anima mundi. Colpirli è distruggere quest’anima, è perdere tutto.

Conservo tre foto di bambini tra le carte di scrivania, tre foto che tutto il mondo conosce, e ogni tanto le guardo. Una è quella del piccolo polacco che alza le mani davanti al soldato tedesco; l’altra è la bimba vietnamita che grida fuggendo nuda avvolta dal fuoco del napalm; la terza è il naufrago di tre anni spinto dalla risacca sulla spiaggia di Bodrum. Del volto spiccato dei neonati di Kfar Aza non c’è immagine e se ci fosse non la vorrei per gli occhi, si è conficcata nel cervello da sé, come una spina rovente. E adesso che fare? Adesso si va disegnando l’assedio totale di Gaza.

A Gaza ci sono i miliziani di Hamas, ma non solo loro: ci sono due milioni di palestinesi, famiglie, bambini, civili. L’assedio totale getta bombe e toglie tutto, elettricità acqua cibo medicine. Toglie a tutti, toglie ai bambini, li mette sul nastro d’uno stento crudele che può sfociare in agonia. Questi bambini sono innocenti del sangue versato dai terroristi di Hamas. Torturarne la vita è contro il diritto internazionale umanitario. Rileggo la quarta Convenzione di Ginevra del 1949 per la quale «chi si trova in balia di una delle parti in conflitto ha sempre il diritto al rispetto della sua vita e della sua incolumità fisica e psichica». Rileggo i Protocolli aggiuntivi del 1977 e quello ultimo del 2005, e sembra di sognare che il mondo abbia promesso un avanzo di coscienza dentro il modo di fare la guerra senza crimini di guerra. Le disumane crudeltà accadute ci fanno sgomenti.

Le reazioni progettate e iniziate non sono immuni dallo straziare vittime innocenti. I semi dell’odio si radicano per un futuro indefinito di lutti. Già si palesa il rischio di precipitare in un conflitto che farà più larga e cruenta la Guerra Grande, come ormai ci appare la situazione del mondo. Ma se il mondo conserva una minima speranza di non fare delle sue promesse e dei suoi trattati un strame di ipocrisia, o delle sue prassi un tradimento, impieghi le sue diplomazie e le sue istanze più autorevoli a disinnescare le ragioni dell’odio e a risolvere secondo giustizia gli incancreniti conflitti che fanno ostili i popoli fratelli. Promuovendo nell’immediato la salvezza delle vittime innocenti. Degli ostaggi, delle famiglie di Israele e di Gaza. Dei loro bambini.

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