giovedì 31 marzo 2022
Una ricerca sociale dimostra come l’approccio «narcisista» rispetto a quello «identitario» possa condizionare la risposta alle misure di contenimento di un’epidemia. E non solo
Pandemia o conflitti, quanto pesa il lato «oscuro» del nazionalismo
COMMENTA E CONDIVIDI

Con un tempismo singolare ma efficace, una ricerca pubblicata nella prestigiosa rivista scientifica Nature Communications si rivela oggi uno strumento di grande interesse nel contesto della pandemia da Covid-19. Sia per evidenziare le manifestazioni di nazionalismo che si sono evidenziate sotto la pandemia, sia per valutare come e quanto oggi possano influenzare percezione e gestione di un evento sanitario con pochi precedenti. Utile tuttavia anche per fornire elementi ad analisi in ambito politico o strategico. I fatti ucraini evidenziano come il dato nazionalista, reale o strumentale, resti essenziale anche se variamente promosso o espresso nei rapporti internazionali.

La ricerca National identity predicts public health support during a global pandemic( L’identità nazionale predice il supporto della salute pubblica durante una pandemia globale) evolve attorno alla distinzione di due forme di nazionalismo: un lato “oscuro” del nazionalismo (chiamato “nazionalismo narcisista”, che consiste nella credenza che la propria nazione sia superiore alle altre), e un lato “chiaro” del nazionalismo (chiamato “nazionalismo identitario”, che consiste nell’essere orgogliosi della propria identità nazionale). Il lato oscuro del nazionalismo è stato studiato a lungo dopo la Seconda guerra mondiale ed è risultato associato a numerosi comportamenti e giudizi negativi nei confronti di gruppi percepiti come antagonisti. Lo studio del lato chiaro del nazionalismo sta emergendo soltanto negli ultimi anni. La conclusione a cui arrivano gli autori è la dimostrazione che il lato chiaro del nazionalismo risulta essere correlato positivamente a diverse misure di risposta pandemica.

All’iniziativa ha dato il suo contributo anche Valerio Capraro, docente alla facoltà di Economia all’Università del Middlesex di Londra. Studioso dei conflitti morali e sociali, Capraro è uno degli organizzatori della ricerca che ha coinvolto un numero enorme di autori, oltre 250, e un campione gigantesco di quasi 50mila osservazioni in 67 nazioni di ogni continente, Antartide esclusa. Ma quali sono state le motivazioni e quali i conte- nuti del lavoro pubblicato su Nature Communications? A spiegarli è lo stesso Capraro: «Abbiamo iniziato la ricerca appena esplosa la pandemia. Dati raccolti dagli autori raggruppati in team nazionali tra aprile e giugno 2020 che ne fanno una delle maggiori iniziative del genere. La fase della raccolta dati è stata abbastanza veloce, specialmente perché è stata fatta quasi tutta online per ovvie ragioni. La fase dell’analisi dati e della scrittura dell’articolo ha comprensibilmente impiegato più tempo, quasi due anni. Quindi l’elaborazione e la pubblicazione, sebbene frutto di un timing casuale, sono cadute in un tempo opportuno e dobbiamo essere grati a Nature Communicationsche si è mostrata da subito interessata alla pubblicazione.

Tuttavia da una specifica richiesta di revisione da parte dei responsabili editoriali, è uscito un secondo studio, pure presente nell’articolo. Nel primo quello più esteso avevamo chiesto ai partecipanti le loro intenzioni riguardo il distanziamento sociale, i comportamenti relativi alla salute personale, le volontà di supportare leggi governative di risposta pandemica. Il maggior limite in questa procedura però è che intenzioni potrebbero non corrispondere all’effettivo comportamento. Da qui il secondo studio che abbiamo portato avanti con l’utilizzo specifico di Google. Attraverso Google Mobility Data abbiamo avuto la possibilità di conoscere, in modo anonimo, quante persone si sono recate nei parchi, nei ristoranti, in farmacia e in altri luoghi della socialità, del benessere e delle necessità... Da qui dati sul comportamento reale delle persone ottenuti in 42 nazioni diverse che ci hanno permesso di replicare che l’identità nazionale predice la riduzione dei movimenti durante la pandemia».

Questo ha permesso ai responsabili della ricerca di rafforzare l’ipotesi che le nazioni che hanno maggiore senso di identità nazionale accettano maggiormente le limitazioni ai movimenti. I dati lo hanno confermato convergendo sul fatto che il senso di identità nazionale (ovvero quanto i cittadini si mostrano orgogliosi della loro nazionalità, senza elementi di antagonismo con le altre nazioni che si ritrovano nel “nazionalismo narcisista”) consente di prevedere anche comportamenti pandemici. «Non in modo univoco o uniforme, però – prosegue il professor Capraro –. Il nazionalismo narcisista è il lato oscuro del nazionalismo perché tende all’imposizione su altri, chi vi si ritrova ritiene che la propria nazione sia migliore di altre ma questo non viene riconosciuto dalle altre. Per meglio comprendere come questo possa evolvere guardiamo alla Seconda guerra mondiale... Il nazionalismo narcisista è legato a tanti comportamenti negativi, ad esempio la conflittualità tra nazioni, mentre non vi è nulla di male in un atteggiamento nazionalista in sé».

Esiste però un lato chiaro del nazionalismo, che manifesta l’orgoglio delle proprie radici senza entrare in conflitto con altre nazioni. Tra le possibili ricadute pratiche dello studio è il suggerimento che attingere a messaggi nazionalisti ma non antagonisti potrebbe aiutare le persone a rispondere meglio sul piano comportamentale alla pandemia, mentre l’opposto impone ulteriori difficoltà, sia sul piano dei rapporti o della cooperazione internazionale, sia per la gestione politica. Una valutazione più precisa sul piano statistico, in realtà deriva dalla convergenza di tre elementi, aggiungendo alle due “forme” di nazionalismo anche l’orientamento politico. Ovviamente possono esserci intersezioni, tuttavia lo studio e le valutazioni di Capraro indicano come nelle nazioni esaminate chi si posiziona più a destra dello spettro politico, tende a rispettare meno il distanziamento sociale e a curare meno l’igiene personale oltre a garantire minore supporto all’azione governativa. Su un altro piano, il nazionalismo “narcisista” privilegia alcuni comportamenti e non altri, mentre quello “identitario” contempla maggiormente tutti e tre gli elementi: distanziamento sociale, igiene personale e supporto all’azione governativa.

Una domanda viene spontanea: dove si colloca l’Italia in questo contesto? «Da una verifica dei dati italiani, rappresentativi rispetto a età, sesso e provincia di residenza – sostiene l’autore – esce che in scala da 0 a 10, il nazionalismo “narcisista” è a 6.52 (rispetto a una media di 4.92 ottenuta mettendo insieme tutte e 67 le nazioni coinvolte nella ricerca), mentre quello “identitario” è 7.78 (rispetto a una media di 7.80 delle 67 nazioni nel loro complesso). Per cui il nazionalismo narcisista degli italiani è molto più alto della media, mentre il nazionalismo identitario è in linea con la media. Sicuramente un risultato interessante...».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: