venerdì 31 dicembre 2010
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Caro direttore, ma davvero non è ipotizzabile un Tg o in generale un’informazione di cose buone, di notizie positive, di fatti esemplari da offrire all’opinione pubblica, un po’ per conservare la fiducia in questo Paese, un po’ per dare il giusto riconoscimento alle tante migliaia di persone che ogni giorno in silenzio le compiono, un po’ per indicare esempi da imitare? Non parlo solo in ambito sanitario, ma anche nel mondo del lavoro, nel costume, nella politica. Non si può pensare a due forme distinte e separate di notizie? Da una parte quelle truci, truculente, che esasperano invidia ed egoismi, esaltano il peggio di noi stessi in termini di sentire violento, quelle dei morti ammazzati, delle escort. E dall’altra quelle buone, positive, gli atti di sacrificio e spontanea donazione agli altri, di rinuncia silenziosa, offerti all’interesse generale e ai singoli casi bisognosi. La sanità italiana è piena di questi casi, ogni giorno. Le liti in sala operatoria e i parti sbagliati sono una minima parte del tutto che nessuno rinnega, ma che non può essere l’unica immagine con cui viene dipinta questa professione. Mi chiedo: è proprio conveniente costruire l’attenzione e il livello di share, ma anche la vendita delle copie dei giornali, sul trucido, il violento e il sanguinario? Non pensate che sia più pagante e appagante far apprendere percorsi di comprensione, critica e capacità di iniziativa, piuttosto che il solito elenco di umane bassezze che, per essere sinceri, ci ha già stancato perché ormai diventato monotono? I giornali e i Tg possono insegnare a imparare? Io credo di sì, e propongo questa filosofia non solo perché credo fermamente in questa loro funzione, ma anche perché ritengo che possa essere remunerativa. Dai Tg e dai giornali di oggi, infatti, non si impara nulla (e per questo se ne ascoltano e se ne comprano sempre di meno). Da quelli con buone notizie, magari, si può anche ricavare qualche buona idea per inventarsi una positiva soluzione ai problemi personali di vita e di lavoro.Non nascondo che non sono disinteressato a tale prospettiva. Lo faccio anche perché credo che se non recuperiamo uno spirito di lucida interpretazione della realtà e oggettiva e completa conoscenza dei fatti che accadono, i primi a soffrire saranno la sanità e la scuola. E per quanti torti abbia questo Paese, sarebbe davvero troppo.Credo che ormai siamo arrivati a un livello morboso di sadismo e di violenza, prima psicologica che fisica, e tutto ciò ha ormai raggiunto le dimensioni di un problema di salute pubblica, cioè di salute fisica, psichica e socio-relazionale di tutta la comunità nazionale. Lo stesso concetto che l’Oms attribuisce oggi alla salute dell’uomo e al suo valore. Impegnarci su questi tre cardini è parte essenziale della nostra missione professionale ed etica, che non può limitarsi solo a quanto ognuno di noi può fare singolarmente, ma che ci impone anche di estendere il coinvolgimento.Fare un Tg delle buone notizie assieme ai quotidiani delle buone notizie vale di più (e credo renda di più) di ciò che fa notizia secondo i canoni attuali, degni più della trama di un film di Quentin Tarantino che dell’immagine reale di questa nazione.Non è vero che al di sotto dell’eccellenza e della straordinaria eccezionalità, tutto sia piatto e banale.E allora? Allora, se noi avessimo un Tg delle cose buone e un Tg di quelle cattive (ma questo è già pronto: è quello che va in onda tutti i giorni), un giornale con le buone notizie e uno con quelle negative, credo che la maggior parte delle attenzioni sarebbe per i primi.

Raimondo Ibba, presidente Ordine dei medici di Cagliari

La sua argomentata proposta a chi fa giornali e telegiornali, gentile dottor Ibba, ha l’intenzione e la costruzione tipica della "lettera aperta". Ma, per la parte che mi riguarda, non ho difficoltà a risponderle. Anche perché Avvenire dà già, ogni giorno, risposta alla questione che lei pone. Ovviamente non con la separazione netta delle buone notizie da quelle cattive (cosa – mi creda – impossibile e anche ingiusta, perché la vita delle persone e delle comunità non è mai solo segnata da eventi esclusivamente positivi o negativi), ma con l’attenzione e il riconoscimento pieno di tutto ciò che di buono accade e porta frutto nella realtà del nostro Paese e del mondo. Il vero nodo è questo, e il segreto per scioglierlo sta nello sguardo di coloro che informano. Chi lavora in questo quotidiano – ed è tenuto a farlo avendo cura di un’alta e dichiarata ispirazione – cerca di esercitare il proprio sguardo in modo professionale e profondo, dando a ogni evento il suo valore effettivo. Nel costruire Avvenire non lesiniamo mai spazio alla cosiddetta cronaca bianca che è interessantissima (il bianco, come impariamo sin da bambini, contiene tutti i colori dell’arcobaleno...) e offre praterie sconfinate a chi non si attarda al primo bivacco messo a ferro e a fuoco dal mascalzone o dallo scriteriato di turno. Ma soprattutto, per concreta esperienza e altra convinzione, non ci rassegniamo alla favola truculenta del giornalismo delle tre 's' – sangue, sesso e soldi – e al suo presunto finale di successo in termini di copie vendute. Niente di importante va taciuto e deliberatamente nascosto, ma proprio per questo non si possono chiudere occhi e orecchi. Proprio per questo non si deve rinunciare – come piace dire anche a me – ad ascoltare la foresta che cresce. Quelle che si è soliti chiamare «buone pratiche» – nella scuola, nella sanità, nelle fabbriche, nelle professioni, nel volontariato... – sono la realtà bella e coinvolgente di un’Italia assai più vera della sua rappresentazione mediatica prevalente. Ci legga più spesso, caro dottore, e vedrà la differenza. Avrà, forse, meno nostalgia di una giusta e buona informazione, che c’è e ci sarà ancora. Le auguro di essere lievito là dove opera, e lo auguro a tutti i nostri lettori. Che il 2011 sia un anno da vivere bene, con consapevolezza civile, cristiana rettitudine e limpida speranza. (mt)
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