La svolta per un’economia sostenibile
venerdì 15 settembre 2017

Non passa giorno senza un grave allarme o l’evidenza di una seria emergenza climatica. Il «grido del pianeta», per riprendere un’efficace espressione di papa Francesco, è altrettanto forte di quello dei poveri e degli scartati. Le immagini chiave e le narrative hanno spesso più influenza dei ragionamenti logici nel determinare egemonie culturali e di pensiero. Kate Raworth, che Alessandro Zaccuri ha intervistato domenica scorsa su queste pagine, con il suo ultimo libro sfida immagini e narrative dominanti, proponendo di sostituire al mito della crescita perpetua quello della ciambella. L’idea è molto semplice. Il confine inferiore della ciambella è la frontiera degli indicatori sociali, quello superiore degli indicatori ambientali.

Cercando di combattere la povertà muoviamo nella direzione di sfondare il limite superiore mettendo a rischio la sostenibilità ambientale sul pianeta. Combattendo inquinamento e cambiamenti climatici rischiamo di sfondare il limite inferiore perché mettiamo a rischio la creazione di valore economico necessaria per la lotta alla povertà. Tra i due confini della ciambella (inferiore e superiore) il nostro cammino è sostenibile su entrambi i fronti. Siamo fuori della ciambella e dobbiamo sforzarci per rientrarvi. Possiamo allargare la ciambella riducendo il dilemma tra sostenibilità ambientale e lotta alla povertà se impariamo a creare valore economico in modo più sostenibile.

L’immagine dell’economia della ciambella ha un importante pregio e alcuni limiti. Il pregio è quello di aiutarci in modo intuitivo e sintetico a superare la schizofrenia di cui siamo tutti vittime. Da una parte parliamo il linguaggio della crescita che deve essere sostenuta e infinita per combattere povertà e diseguaglianze, dall’altra ci preoccupiamo del deterioramento del clima. Raramente riusciamo a cogliere le interconnessioni tra le due dimensioni costruendo indicatori che tengano conto di entrambe. In realtà, però, la soluzione sarebbe molto semplice.

Gli indicatori esistono già, ma li usiamo poco o non ne diamo particolare evidenza nel dibattito mediatico. Nell’economia della ciambella vince chi riesce a creare valore economico ambientalmente e socialmente sostenibile. E un indicatore chiave da considerare è, ad esempio, l’intensità di emissioni di anidride carbonica per unità di Pil. Per restare in Europa, se confrontiamo il Pil della Norvegia con quello della Bulgaria, scopriamo che il primo è di qualità molto migliore.

La ciambella ci inchioda, però, a una visione statica del problema. Possiamo in realtà allargarla se trasformiamo la nostra economia modificando il mix di prodotti e servizi che la costituiscono in direzione della sostenibilità ambientale. Energie rinnovabili, economia circolare dove gli scarti di produzione diventano input di nuovi prodotti, aumento della quota di beni "non rivali" (che non richiedono una nuova produzione fisica per essere consumati più volte), come i beni della cultura, sono gli ingredienti fondamentali per allargare la ciambella.

Enunciare un dover essere però non basta se la prassi è lontana dal realizzarsi. Una volta stabilito "cosa" fare, resta il problema più grande, quello del "come" fare. La direzione più promettente – torno a insistere su un punto che i lettori sanno essermi specialmente caro – è quella del "voto col portafoglio" accompagnato da politiche di stimolo delle "energie dal basso" della società civile (come ad esempio una rimodulazione dell’Iva a saldo zero per le finanze pubbliche che premi i prodotti e le filiere più sostenibili). Non è un caso che nei Sustainable Development Goals, i 17 obiettivi che costituiscono l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, si parli molto di più che in passato dell’azione della società civile. È del tutto evidente, infatti, che quando parliamo di ambiente (e ad esempio di risorse idriche) gli stili di vita sono fondamentali e senza la collaborazione dei cittadini le istituzioni possono poco e non sono stimolate ad agire.

Sottolineare l’importanza del 'voto col portafoglio' non vuol dire squalificare la po-litica, ma capire che sono la cultura e le nostre scelte che costituiscono il sentiment dell’opinione pubblica che, a sua volta, influenza la politica. La storia delle opinioni e delle decisioni politiche sui migranti ce lo dimostrano, nel bene e nel male. Se, da domani, premiamo con le nostre scelte di acquisto le imprese impegnate sulla frontiera nella creazione di valore economico socialmente e ambientalmente sostenibile, il mondo è già cambiato. Gli ostacoli che si frappongono alla meta sono ben noti: informazione adeguata, aggregazione di tante piccole decisioni, consapevolezza del potere che abbiamo, limiti di potere d’acquisto.

Non è un caso che i risultati migliori del 'voto col portafoglio' si siano realizzati in finanza dove i fondi d’investimento 'etici', aggregando i 'voti' di tanti piccoli risparmiatori, hanno offerto rendimenti non inferiori e contagiato il mercato influendo sui comportamenti delle grandi imprese, in primis del settore dell’energia. E i mercati finanziari stanno già votando: le imprese in grado di sopravvivere e prosperare nel futuro sono quelle sostenibili, se è vero, come è vero, che Tesla (l’azienda che produce per ora pochissime vetture elettriche) oggi vale in Borsa più della Ford. Siamo ancora agli inizi della nostra capacità di sfruttare quest’enorme potere che abbiamo, ma il tempo stringe e ci costringe a imparare il più rapidamente possibile. Il tempo della svolta è adesso e perdere tempo o tornare indietro su questa via, preoccupandosi di profitti immediati e non del bene da proteggere e conseguire, è un errore madornale. In ballo c’è la possibilità o l’impossibilità di rientrare nella ciambella evocata da Kate Raworth e di assicurare a noi e alle generazioni future una vita degna.

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