Nel sapersi interrogare sul male la forza della nostra umanità
venerdì 27 ottobre 2023

Quando il male irrompe inaspettatamente nelle nostre vite, la coscienza si trova catapultata in uno stato di profondo turbamento. Questa irruzione, spesso incomprensibile e inattesa, ci spinge a interrogarci sulle profondità della nostra essenza, facendoci sentire incredibilmente vulnerabili e smarriti. L’esperienza travolgente del male, nella sua cruda ineffabilità, rende qualsiasi tentativo di descriverlo o di circoscriverlo verbalmente una battaglia ardua e forse persino vana. Eppure, nonostante la tentazione di rifugiarsi nel silenzio, l’anima sente una pressante necessità di dare voce al proprio sconcerto, di cercare parole che possano lenire, se non spiegare, l’indicibile dolore. Nel tempo, la riflessione filosofica sul male ha generato molteplici interpretazioni.

Una delle distinzioni più significative in questo ambito è tra il male commensurabile e il male incommensurabile. Il primo, in quanto misurabile, si presta a forme di analisi e comparazione, permettendo una categorizzazione che ne stabilisce la natura, le cause e le possibili soluzioni. Si tratta di mali che, seppur devastanti, rientrano in una griglia di comprensione che l’essere umano può, in qualche modo, affrontare e su cui può riflettere. Il male incommensurabile, invece, rappresenta una categoria del tutto differente. Esso sfugge alle nostre metriche, alle nostre categorie, sconcertando la nostra capacità di comprensione.

Questo genere di male solleva domande profonde sulla natura stessa dell’esistenza, poiché non può essere facilmente spiegato né razionalizzato. Si potrebbe pensare a tragedie senza apparente motivo, a sofferenze senza causa identificabile o a eventi traumatici incomprensibili. Una tentazione comune nella filosofia e nella teologia è di considerare il male come una necessaria ombra del bene, come una sorta di contrappunto che evidenzia e magnifica la presenza del bene.

Questo argomento, tuttavia, diventa problematico di fronte al male incommensurabile. Come può, infatti, un male apparentemente senza motivo o spiegazione servire a esaltare il bene? E come può un Dio benevolo, se concepito in tal modo, permettere tali mali? Rispondere a queste domande richiede il ricorso alla razionalità che possediamo, benché limitata e incapace di svelare pienamente i misteri della fede. Questo non implica una rinuncia, ma piuttosto l’adozione di una postura che, pur mantenendo intatto il mistero del male, ci offra una percezione almeno parzialmente comprensibile.

Come suggerito nei Saggi di teodicea da Leibniz, ciò che possiamo permetterci è «una spiegazione sufficiente per credere, ma mai abbastanza per capire ». Superare questa soglia ci espone invece a «parole destituite di senso», come peraltro la vicenda di Giobbe insegna. Nel contesto di una riflessione sulla natura del male, è importante distinguere inoltre tra male fisico, male morale e male metafisico. Mentre altre forme di male possono derivare da forze esterne o da circostanze incontrollabili, il male morale scaturisce da un conflitto interno tra ciò che si sa essere giusto e ciò che si decide di fare.

Questa forma di male, infatti, si svela quando un individuo, pur avendo la chiara consapevolezza delle possibili sofferenze che potrebbe causare, decide comunque di agire in modo dannoso. La specificità del male morale risiede proprio nella deliberata scelta di nuocere, in opposizione alla propria consapevolezza del bene. La presenza del male morale pone notevoli sfide al pensare. Una delle principali difficoltà è capire come, in presenza di una coscienza che riconosce il bene, possa emergere la scelta deliberata di compiere azioni dannose. Questo interroga le fondamenta stesse della nostra comprensione della libertà, della responsabilità e dell’essenza dell’etica.

Nelle parole scritte in Fede e critica da Guido Morselli – «bisogna, ragionando, convincersi che il ragionamento non è sufficiente» – si manifesta il culmine di una riflessione che interroga le frontiere stesse della ragione. Morselli suggerisce non solo l’essenzialità del ragionamento, ma anche la sua potenziale inadeguatezza nel sondare l’abisso del male. Di fronte a tale enigma, la nostra coscienza si scontra con il paradosso di voler comprendere ciò che spesso appare incomprensibile. Il dilemma non è solo intellettuale ma profondamente esistenziale: il male, infatti, oltre a essere una sfida filosofica e teologica, è anche una questione profondamente personale. Ogni individuo, nel corso della sua vita, deve trovare un proprio modo di affrontare e dare un senso alla sofferenza e all’ingiustizia. E, nonostante le risposte possano essere diverse, ciò che accomuna tutti gli esseri umani è la ricerca incessante di significato, di speranza e di redenzione.

Cercare di capire il male, nonostante la sua devastazione apparentemente insensata, è dunque una testimonianza del nostro profondo bisogno di cercare significato. Ma forse, il vero valore risiede non tanto nel trovare una risposta definitiva ma nell’avere il coraggio di porre la domanda. Nel nostro continuo interrogarci riscopriamo l’umanità dell’animo umano. E in questo sforzo risiede la nostra vera forza.

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