Migranti, aborto: salvare vite umane. Ogni giusta battaglia basta a se stessa
sabato 10 ottobre 2020

Gentile direttore,
padre Alex Zanotelli dice che:«Salvare vite umane è quello che dovrebbe fare lo Stato e che non fa. È grave che rimanga dentro questa roba, non è tollerabile, bisogna urlarlo con forza». E a proposito della politica impostata nella prima parte della legislatura e che, in parte, è applicata anche oggi, aggiunge: «Il problema grave è che non è possibile continuare a trattenere le navi delle Ong nei porti per futili ragioni. Anche in questo periodo, tra il 14 e il 24 settembre, sono morte 200 persone in mare. C’è ancora una politica che non può essere accettata bisogna dirlo con chiarezza. Ancora più grave poi continuare a finanziare la Guardia Costiera libica». Allora dobbiamo aggiungere che ogni giorno – ogni giorno ! – in Italia vengono soppressi con l’aborto di Stato (cioè pagato da tutti i cittadini) 218 bambini. Ha ragione padre Zanotelli quando dice che «Salvare vite umane è quello che dovrebbe fare lo Stato e che non fa».
Gabriele Soliani, Reggio Emilia

«Salvare vite umane è quello che dovrebbe fare lo Stato e che non fa». O non fa abbastanza. Lo dice padre Zanotelli e lo dico anch’io, gentile e caro dottor Soliani. E penso pure che né lo Stato, attraverso chi lo rappresenta, né le persone di coscienza possono parlar male e agire male nei confronti di chi salva vite umane. In mare, a terra, in ogni circostanza. So che lei, da medico, ne è sinceramente e profondamente consapevole, che ha anzi votato la sua esistenza e la sua professionalità a questo. Un questo che – su un piano generale – ci riguarda tutti e riguarda le persone migranti e i figli non accolti, gli ultimi senza ruolo sociale e senza cure e le donne abusate... Riguarda, cioè, tutte le situazioni in cui – uso parole che papa Francesco rivolse l’11 gennaio 2016 al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede e che il pontefice ha ripreso nell’enciclica Fratelli tutti (19) appena indirizzata al mondo intero – «le persone non sono più sentite come un valore primario da rispettare e da tutelare, specie se povere o disabili, “se non servono ancora” – come i nascituri –, o “non servono più” – come gli anziani».
Non ci si può rassegnare a un tale sciupìo di umanità, a ingiustizie così chiare e gravi. È il motivo per cui da cittadini e da cristiani, prima ancora che da giornalisti, su queste pagine di “Avvenire” sosteniamo l’azione dei Centri di aiuto alla vita e difendiamo le scelte dei medici che con l’obiezione di coscienza resistono alla logica e alla pratica dell’aborto. Così come sosteniamo l’azione dei missionari, dei volontari e dei cooperatori al fianco della vita dei più poveri e dei perseguitati in ogni parte del mondo e difendiamo le esistenze precarie e sradicate dei profughi e dei migranti sostenendo le civili obiezioni alle regole incivili che, formalmente o surrettiziamente, si tenta di applicare contro questi esseri umani colpevoli solo di dover lasciare la terra dove sono nati.
C’è un punto decisivo che vorrei, anche da direttore di questo giornale, che tutti avessero chiaro: non c’è bisogno ogni volta di “giustificare” a parole questa o quella parte dell’impegno integrale per la vita richiamando – per fare un esempio non casuale – il “no” all’aborto assieme al “sì” al salvataggio delle persone in pericolo in mare. La coerenza dell’impegno è essenziale. Eppure ogni giusta battaglia basta a se stessa. Solo così possiamo continuare a batterci con disarmata e disarmante determinazione, capaci di “vincere” quando sarà – perché sarà così – non per noi stessi, ma per coloro che non hanno potere e non hanno voce.


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