Matura e serena capacità di dibattere e i nodi seri per noi, cittadini e credenti
mercoledì 29 aprile 2020

Queste lettere sono il frutto di una rapida selezione tra le molte arrivate sul tema 'Fede e Fase 2' e dunque centrate sul disaccordo (già di fatto sanato) tra Stato e Chiesa italiana sulle priorità nella prudente 'ripartenza' dopo la sospensione della vita sociale, e anche della vita sacramentale dei cattolici (ma la questione riguarda i fedeli di ogni credo). Proprio come le quattro pubblicate ieri, anche le più ampie tra queste lettere sono state sintetizzate, secondo la mia responsabilità di direttore e in forza dell’esplicito patto di libertà e di fiducia che lega da sempre 'Avvenire' ai suoi lettori e alle sue lettrici (non per nulla, molti di loro aggiungono in fondo ai loro scritti: 'Lo so, qui ci sono più delle 1.500 battute massime. Ci pensi lei...'). Ho scelto testi che dimostrano in vario modo la maturità del popolo cristiano e la sua capacità di dibattere serenamente. Alcune portano alla luce anche certi tic polemici e qualche pregiudizio, e non mi stupisco né dell’una cosa né dell’altra. Raccomando a tutti, però, di mettere a fuoco bene le questioni che ci stanno davanti. Che sono di bene comune (oggi il bene della vita minacciato dalla pandemia) e proprio per questo, per un cristiano che mai «si salva da solo», coinvolgono la dimensione di fede. Ma sono pure questioni che rimandano a valori costituzionali e a fondamentali princìpi giuridici, nonché a nodi di natura organizzativa. Se qualcuno rilegge l’elenco che ho appena stilato può scorgere una scala di priorità non casuale e presente in tutte le scelte e tutti i sacrifici sinora compiuti dalla Chiesa italiana in collaborazione con le autorità civili, dalle diverse comunità ecclesiali del nostro Paese e da tanti singoli credenti. Domenica sera sembravano dimenticate dal Governo. Per fortuna abbiamo visto che non è così. All’amico Vittorio Bellavite consiglio di rileggere la riflessione sviluppata in modo nitido e potente da don Pino Lorizio ( https://tinyurl.com/y7ef5ft8 ) e giustamente richiamata e apprezzata nella prima delle lettere, quella di Giuseppe Salvato. Lì s’individua una ferita mai chiusa del tutto: la tentazione del potere-Leviatano, comunque si manifesti, laicamente e cristianamente ci riguarda tutti. Per l’oggi e per il domani.

Gentile direttore,
ho trovato molto interessante l’editoriale di don Giuseppe Lorizio «Mai più l’incubo del Leviatano» ('Avvenire', 28 aprile 2020) . Ritengo che sia stato colto pienamente il problema di fondo che caratterizza le scelte dell’Autorità politica in questo periodo di limitazioni di libertà civili e anche nei rapporti con la fede. Un problema, quest’ultimo, certamente non nuovo nei rapporti Stato-Chiesa, ma che ogni volta, sfruttando ogni circostanza, riemerge con tutta la sua prepotenza e violenza, presentandosi anche come una cosa giusta e buona. Per questo, bisogna essere sempre pronti a intervenire con grande capacità di giudizio e di indirizzo come è stato fatto. Grazie ancora e buon lavoro.

Giuseppe Salvato

Gentile direttore,
mi sembra che l’impatto della pandemia nella vita della Chiesa stia facilitando in modo diffuso la ricerca di forme diverse di vivere la fede. L’uso delle trasmissioni via computer ne è solo un aspetto (del tutto insufficiente). Fuori dal circuito delle forme abituali dei riti religiosi, domande e risposte ( seppur parziali e in divenire) sulla vita cristiana mi sembra si stiano ponendo non solo a chi vive fortemente la propria spiritualità, ma anche a tante donne e uomini in ricerca che si stanno ponendo interrogativi di senso. Ciò, in particolare, di fronte alla sofferenza e alla morte che la situazione ci butta in faccia in queste settimane. La presenza di tanti cristiani e del clero nell’aiutare i sofferenti e in iniziative di aiuto sociale, la stessa presenza solitaria di papa Francesco in piazza S. Pietro il 27 marzo e la via crucis del venerdì santo sono stati momenti intensi di solidarietà e di apertura alla speranza cristiana e umana. Per i credenti quello di oggi è un momento di sofferenza, ma anche di tanta apertura alle radici del Vangelo. Ciò premesso, mi sembra che il testo diffuso dalla Conferenza episcopale italiana di critica al governo debba essere contestato fortemente. Mi sembra grottesco sostenere che sia in atto una specie di attacco alla Chiesa, alla sua libertà, alla sua autonomia, alla libertà di culto. Siamo davanti a scelte di prudenza. Mi sembra che il parlare di decisioni arbitrarie, pretendendo che la Chiesa sia una specie di isola separata ed extraterritoriale, sia l’espressione di una autosufficienza presuntuosa che non sta nei fatti e neppure nei documenti ecclesiali. Nella storia della dialettica tra Stato e Chiesa fondata sulla sovranità e l’indipendenza reciproca di cui parla l’art.7 della Costituzione questo mi sembra uno dei punti più bassi.

Vittorio Bellavite coordinatore nazionale di Noi Siamo Chiesa

Caro direttore,
sono un’insegnante, vivo tutto il disagio delle scuole chiuse, sono cattolica, praticante, e ho perso la mamma 10 giorni fa. Non sono una teologa, un’esperta del Concordato Stato-Chiesa, una virologa... vivo le difficoltà di questo tempo come migliaia di altre persone, cercando di cogliere i segni di speranza, di bene, della presenza del Signore anche in questi giorni. Vorrei esprimere la mia tristezza per il tono usato nella nota della Cei per l’ultimo DPCM. Se condivido la preoccupazione e il desiderio di tornare presto alla celebrazione comunitaria dell’Eucarestia, sono convinta che le parole hanno sempre un peso ed «esigere di riprendere l’azione pastorale», «pienezza della propria autonomia nell’organizzazione della vita della comunità cristiana» sono termini che posso capire ma considero molto divisivi. E invece mai come ora abbiamo bisogno di continuare a collaborare, in un tempo difficile dove nessuno ha risposte semplici per problemi complessi. Forse tutti i vescovi dovrebbero avere più fiducia nel popolo di Dio, capace di custodire, vivere e testimoniare il Vangelo anche in assenza (per un periodo) di una vita pastorale e sacramentale assidua. Popolo di Dio che non sta vivendo in un letargo passivo, ma che in questa 'mancanza' si sta interrogando, si confronta con la famiglia, riflette sulla fede e sullo stile della pastorale, continua a essere solidale con chi ha bisogno e a pregare, e magari avrà da offrire qualche contributo diverso nel confronto con i propri pastori (se gliene sarà data la possibilità) una volta tornati alla normalità. Un’ultima cosa, come sarebbe stato bello allora se il documento dei vescovi fosse terminatocon: 'Malgrado il nostro disagio difronte al nuovo decreto del governo, assicuriamo e aumenterà il nostro servizio ai poveri'. Un cordiale saluto di speranza

Rita Rossi Padova

Caro direttore,
condivido in toto la lettera della signora Amina Maneggia («Io credente dico: attenzione… ». Avvenire, 28 aprile 2020). Nessun credente trascura l’importanza dell’Eucaristia, si tratta solo di una provvisoria sospensione, per il bene di tutti, vista ancora la pesante e diffusa presenza del coronavirus. Ricordo che scribi e farisei erano pieni di rabbia, perché Gesù guariva il giorno di sabato, preferendo sempre il bene dell’uomo al culto nel tempio.

Angelo Ajroldi Milano

Gentile direttore,
in merito alle polemiche scaturite dalla presa di posizione dei vescovi riguardo alla mancata e pur prudente riapertura delle celebrazioni liturgiche ai fedeli, mi preme porre l’attenzione sulla discrepanza con cui le autorità civili considerano situazioni oggettivamente caratterizzate dal medesimo grado di rischio sanitario. Posta infatti la necessità di garantire a fedeli e ministri lo svolgimento dei riti in sicurezza nonché di instaurare un confronto approfondito sulle misure igienico-sanitarie da imporre in questo senso, tra cui il mantenimento della chiusura delle strutture che non fossero in grado di ottemperare a esse o l’imposizione a esse di funzioni esclusivamente all’aperto, non si comprendono le motivazioni in base alle quali vengano impedite attività religiose attuabili con criteri analoghi a quelli che stanno consentendo la riapertura di fabbriche, centri commerciali e perfino il riavvio del gioco d’azzardo; a meno di non voler attribuire alla libertà di culto - peraltro esercitata su base volontaria e con piena responsabilità - un’importanza marginale nel quadro dei diritti personali costituzionalmente garantiti, il che sarebbe dal mio punto di vista molto grave.

Giuseppe P.

Gentile direttore,
mi vergogno di dover scrivere questa lettera. In Italia, in un Paese di tradizione cattolica e di libertà di culto quale credevo fosse quello in cui vivo. Mi chiedo che qualcuno di quelli che pontificano sia mai stato a una Messa? Perché mi sembra che la si stia confondendo con un concerto rock. Il che davvero dimostra quanto non qualcuno non capisca il popolo di Dio. Si pensa davvero che il pericolo sia il segno della pace? Ai supermercati si può toccare tutto con i guantini. In chiesa no? E comunque non si riesce a immaginare che celebrante e fedeli possano rispettare un’indicazione a cambiarsi un semplice sorriso di pace? Si pensa davvero che il pericolo possa essere ricevere l’Eucarestia? Alla posta e alle casse si può fare la fila. Invece in chiesa, è risaputo, la gente si accalca scompostamente urtandosi sguaiatamente, quindi: no, no cari fedeli, per voi no…

Margherita Lancellotti

Caro direttore,
anche io sono sconcertato per l’assenza di ogni apertura alle celebrazioni religiose nell’ultimo Dpcm del Governo. E mi permetto un piccolo suggerimento per una soluzione efficace al fine di poter celebrare la Messa – almeno festiva – in sicurezza. Dato che ci avviamo alla stagione estiva, in molte parrocchie si potrebbe celebrare l’Eucaristia all’ aperto, dove è possibile mantenere distanze di 3-4 metri fra una persona e l’altra. Molte parrocchie hanno fra le loro pertinenze cortili, o campi sportivi, o hanno nelle vicinanze , o spazi pubblici che possono essere destinati alle celebrazioni religiose; un efficace impianto di amplificazione consentirebbe di celebrare al meglio. Ovviamente le celebrazioni dovrebbero essere forse più brevi (come nelle messe feriali, si potrebbero saltare 'Gloria' e 'Credo', e proclamare una sola lettura), ma oramai il digiuno spirituale e sacramentale ha superato anche i quaranta giorni della Quaresima... e come è scritto nel Vangelo, «non di solo pane vive l’uomo», ma anche della Parola di Dio e del Pane eucaristico.

Guido Campanini Felino (Pr)

Caro direttore,
per rimediare all’impossibilità della celebrazione della Messa (ritenuta, credo, assembramento che si protrae per un tempo eccessivamente lungo) suggerisco all’autorità ecclesiastica preposta di far distribuire l’Eucarestia ai fedeli al di fuori della Messa, organizzando tale distribuzione secondo orari diversi lungo la domenica. In tempi straordinari, anche questo modo straordinario, già in uso, se rettamente vissuto, si configurerebbe come una soluzione dignitosa e santa.

Virginio Marconato San Pietro di Feletto (Tv)


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