martedì 10 marzo 2020
Gli effetti sulle relazioni internazionali del Covid-19 La crisi sanitaria rischia di accelerare il processo di delegittimazione delle istituzioni mondiali. Ma per la pace serve la cooperazione
Doriano Solinas, opere. La pace e il petrolio

Doriano Solinas, opere. La pace e il petrolio - Solinas/Avvenire

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Negli ultimi giorni è apparso sempre più evidente che la diffusione del covid-19 rischia di divenire ufficialmente una pandemia essendo presente in un numero sempre più elevato di Paesi nel mondo. Non esistono ancora soluzioni efficaci per combattere il nuovo coronavirus, ma le misure anti-contagio cominciano a sottoporre i governi e le istituzioni a uno stress test che potrebbe essere foriero di sviluppi inaspettati nell’ambito delle relazioni tra i Paesi e tra le comunità. A breve si alzerà una ridda di voci a denunciare il fallimento della globalizzazione rispetto alla quale si erano già raffreddati gli entusiasmi negli ultimi anni. La ricomparsa dei nazionalismi, l’emersione dei cosiddetti sovranismi autoritari, il ritorno del protezionismo in ambito economico troveranno con buona probabilità nuovi argomenti che seppur fallaci rischieranno di apparire convincenti.

Il covid-19 rischia di portare a compimento il processo di delegittimazione delle istituzioni globali cominciato all’indomani della grande crisi del 2008. Esiste infatti una sottile linea rossa tra la crisi del 2008 e la pandemia in corso. Fino al 2008 è andato sviluppandosi un sistema che, da internazionale, abbiamo incominciato a chiamare “globa-le”, perché immaginavamo che negoziati e accordi tra Stati-nazione lasciassero il passo, o quantomeno spazio, al consolidamento di regole e diritti globali che andassero al di là dei singoli Stati. Regole elaborate, formulate e, se necessario, riformulate all’interno di consessi globali.

La crisi economica del 2008 ha messo in moto una marcia indietro. I governi dei Paesi messi a dura prova dalla più grande crisi economica degli ultimi tre secoli, hanno incominciato a cercare sempre di più soluzioni unilaterali – sovente di corto respiro – alle domande pressanti che provenivano dall’interno dando avvio anche nel linguaggio pubblico a una sistematica delegittimazione di istituzioni e organizzazioni globali che – pur imperfette – in molti casi storicamente avevano contribuito allo sviluppo e al benessere di milioni di persone. Tale processo, peraltro, ha trovato pochi anni dopo il suo più importante propugnatore e facilitatore nel presidente americano Donald Trump che in mol- ti campi ha sostituito istituzioni, accordi e regole globali con negoziati bilaterali fondati esclusivamente sulla forza e gli interessi. Questo approccio in tempo breve ha moltiplicato sostenitori ed emulatori in giro per il mondo.

La peggiore conseguenza del Covid-19 quindi, potrebbe essere che tale approccio “a far da soli” trovi ulteriore impeto e intensità in una crisi sanitaria globale in cui trovare soluzioni comuni è estremamente difficile. Invero, il grande rischio è che il mondo si ritrovi ancora più lacerato e frammentato in egoismi e nazionalismi di quanto non fosse fino a pochi mesi fa. In questo senso, il Covid-19 oltre a minacciare la vita di milioni di individui e famiglie può mettere a rischio la tenuta di un sistema chiamato a garantire il bene pubblico globale più importante, vale a dire la pace. Appare indicativo che nel settembre del 2014, ad esempio, il consiglio di sicurezza dell’Onu approvando all’unanimità la risoluzione 2177 in merito alla diffusione del virus ebola riconosceva che la natura del problema non fosse esclusivamente sanitaria, ma riguardasse piuttosto la pace e la sicurezza internazionali.

Il Covid-19 può accelerare il ritorno a un mondo ancor più disunito e conflittuale o, al contrario, può essere l’occasione per ricominciare a credere nella cooperazione che, per quanto costosa e difficile, è l’unica strada percorribile per garantire un futuro di pace e benessere. La storia, peraltro, fornisce esempi in questo senso. Nel descrivere le esperienze rinascimentali rispetto alla peste e al tifo, Carlo Maria Cipolla scriveva nel suo saggio “Contro un nemico invisibile, epidemie e strutture sanitarie nell’Italia del Rinascimento” «[...] Presto ci si rese conto anche che l’opera di un Magistrato della Sanità acquisiva molto maggior senso e valore se coordinata e in collaborazione con l’opera delle Magistrature degli altri Stati della penisola. Dalla metà del secolo XVI in poi fu pratica comune che, al di là di differenze politiche o contrastanti interessi economici, i vari uffici si scambiassero regolarmente dettagliate informazioni sanitarie [...]». E quindi l’irruzione del Covid-19 nelle vite di milioni di persone al mondo potrebbe essere la notizia che aspettavamo per far ripartire il dialogo, la cooperazione e la fiducia globali apparsi troppe volte in stallo su tanti fronti in questi ultimi anni. Allo stesso tempo il nuovo coronavirus ci autorizza a reclamare che i nostri rappresentanti delle istituzioni unitamente a competenze tecniche abbiano capacità e attitudini a cooperare o meglio di sapere essere credibili ai tavoli in cui la cooperazione si concreta.

Il Covid-19 ci ha ricordato che – a dispetto della retorica di alcuni – la globalizzazione è davvero un processo irreversibile e che adesso è il momento di superare in maniera decisa e una volta per tutte l’idea che essa riguardi esclusivamente i mercati. Non si possono avere merci e capitali in grado di muoversi ovunque nel mondo senza che vi siano parallelamente risposte e soluzioni globali alle domande fondamentali della vita dell’umanità. Come cittadini abbiamo il dovere di chiedere insistentemente alla classe dirigente finalmente una maggiore responsabilità in questo senso perché smetta di negare la globalizzazione e le istituzioni che la governano. Si faccia piuttosto parte attiva e costruttiva perché regole e diritti globali siano sempre più improntati alla salvaguardia e al miglioramento della vita di tutti gli esseri umani e alla costruzione della pace.

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