Le Rsa e l'equilibrio di corpo e mente
venerdì 3 luglio 2020

Caro direttore,

il Covid-19 ha fatto esplodere anche in Italia situazioni critiche che sono da sempre alla base della vita delle residenze per anziani: adesso non sarà più possibile riprendere la vecchia 'normalità' senza affrontare alcuni nodi che si sono aggrovigliati negli anni. Proprio a proposito del futuro delle Rsa, la lettera della signora Claudia Zoppi e i commenti contenuti nella sua risposta hanno toccato, su 'Avvenire' di domenica 28 giugno, il problema centrale, cioè la ricerca dell’equilibrio tra sicurezza e possibilità per i nostri grandi anziani di avere una vita ricca di stimoli e di relazioni. Debbo peraltro esprimere la mia soddisfazione personale e professionale per la collocazione del dibattito in seconda pagina di 'Avvenire', nella sezione iniziale che il giornale dedica alle 'Idee'. Non si sta discutendo, infatti, solo di eventi passati o ancora in corso, per quanto drammatici e dolorosi, ma di futuro, cioè di come dobbiamo pensare alla riorganizzazione dell’assistenza alla persona anziana, in particolare in quel suo segmento così delicato, difficile e costoso sul piano economico e umano, cioè appunto le Rsa.

Il centro del problema dell’oggi è definire se 'negare il diritto' alle relazioni con i famigliari sia prevalente rispetto ai rischi conseguenti all’apertura, cioè il contagio. Ci si muove in un ambito molto delicato sul piano giuridico e, non avendo competenza specifica, posso solo ricordare che il rischio eventuale coinvolge non solo il singolo ospite che viene visitato, ma anche gli altri ospiti della struttura e il personale di assistenza. D’altra parte, le attuali modifiche che le strutture si sono imposte per permettere qualche sporadico incontro sono difficili da mantenere nel tempo, a fronte di una soddisfazione relativa di ospiti e parenti. Il punto delicato sul piano clinico - sebbene ancora privo di descrizioni adeguate e documentate - è la valutazione del danno che la solitudine, le paure, la lontananza, le angosce («mia nonna ha pianto per ore», le ha scritto la signora Zoppi) inducono al soma e alla psiche della persona che ha perso il contatto con i suoi affetti. Sappiamo bene che si sono manifestati sintomi depressivi, inappetenza, con il relativo rischio di denutrizione, rifiuto di alzarsi dal letto con le ben note conseguenze a livello del trofismo muscolare, dell’equilibrio, ecc. In molti casi è venuta meno la voglia di vivere, condizione che non può essere schematizzata, ma che è intercettata con sofferenza prima di tutti dal personale di assistenza. Si deve anche ricordare che vi sono profonde differenze tra ospiti cognitivamente integri e quelli che sono affetti da demenza. Ai primi si possono spiegare limitazioni e interventi particolari; i secondi invece hanno bisogni di relazioni, vive, carnali e non possono certo comprendere le motivazioni di chiusure, solitudini, abbandoni apparenti.

Molti amministratori e operatori delle residenze per anziani oggi si trovano di fronte al bivio tra chiusura e apertura. Io sento il peso nei loro confronti di non essere grado di dare risposte chiare; pongo la questione in modo aperto, ma senza risposte definitive. Così, e lo affermo senza alcuna polemica, non sono di aiuto le affermazioni di principio sulla dignità e libertà della persona anziana; oggi, infatti, ritengo di poter dire dal mio osservatorio che nelle istituzioni per anziani vi è un grandissimo, concreto, determinato impegno per rispettare i diritti. Il problema nasce nel momento in cui si tratta di dare corpo nella vita di tutti i giorni a questi princìpi. Poco è stato scritto sull’argomento, ma i primi a soffrire per le limitazioni imposte agli ospiti sono gli stessi operatori delle residenze.

Come ho accennato all’inizio, il problema della libertà degli ospiti delle Rsa si porrà in modo pesante anche nel prossimo futuro. Infatti, non vi è dubbio che stanno crescendo le attenzioni per la loro salute, anche oltre le problematiche infettivologiche, a causa dell’invecchiamento ulteriore della popolazione, e dunque della crescente fragilità e delle molte patologie da cui le persone anziane sono affette. Nessuno vuole trasformare le Rsa in piccoli ospedali: ma come si potrà realizzare le giuste e solenni affermazioni di principio nella realtà di tutti i giorni? Come sarà possibile continuare a garantire una vita buona, ricca di relazioni, di affetti, di momenti di serenità, senza rinunciare alle esigenze imposte da un’adeguata assistenza sanitaria, con i conseguenti aspetti organizzativi?

Si apre una tematica che ci accompagnerà a lungo in questi tempi di cambiamento. Grazie ad 'Avvenire', direttore, per affrontarla con intelligenza e senza preconcetti, contribuendo così a un dibattito che coinvolge le molte comunità che pongono la cura agli anziani al centro della loro vita collettiva.

Associazione Italiana di Psicogeriatria

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