Rsa, appello al governo per coniugare la precauzione e il diritto agli affetti
domenica 28 giugno 2020

Gentile direttore,

scrivo dalla prima zona rossa italiana, a Castiglione d’Adda, paese d’origine del cosiddetto "paziente 1". Il Covid-19 qui ha picchiato duro. In poco più di un mese sono morte 80 persone. Tantissime per un paesino di 4.800 abitanti che nell’intero 2019 aveva dato l’ultimo commiato a 57 compaesani. Nella Rsa "Fondazione Milani" sono mancati molti ospiti, circa un terzo del totale, e si dice che tutti i sopravvissuti e la quasi totalità del personale siano risultati con anticorpi, a seguito dello screening avviato in collaborazione con il "Sacco" di Milano. Siamo ben consci di quanto possa essere difficile gestire la Rsa, specialmente con il forte calo delle entrate per la diminuzione degli ospiti a seguito dei decessi. Sappiamo anche quanto sia delicata la situazione e come non sia facile assumersi responsabilità per decisioni che potrebbero avere effetti indesiderati sulla salute delle persone. Tuttavia, a oltre quattro mesi dalla chiusura, mi permetto di dar voce agli anziani ospiti che non hanno più potuto vedere i familiari fino a una manciata di giorni fa, se non con una-due videochiamate a settimana e che ora avranno modo di incontrare un unico familiare, a debita distanza, per quindici minuti con cadenza bisettimanale. Ciò significa che serviranno due mesi interi affinché mia nonna possa reincontrare i due figli e i due nipoti. Tutti gli altri dovranno aspettare. Sappiamo quanto sia importante per tutti, ma a maggior ragione per i "grandi anziani", poter contare sugli stimoli provenienti dai propri affetti, dai ricordi della lunga vita che necessita d’essere costantemente "ri-raccontata" per non perderla, tra gli effetti dell’inesorabile decadimento cognitivo che rischia di correre, a causa della situazione, pesantissima anche a livello psicologico.

Mia nonna ha pianto per ore, dopo essersi convinta che mia madre fosse morta a causa del Covid, perché nella sua testa la morte era l’unica motivazione che si dava per il fatto di non averla più vista. Impossibile per lei che quella stessa figlia che quotidianamente andava da lei, la pettinava, le metteva le creme e la ascoltava per almeno tre ore, non fosse più andata a trovarla. Lei che la faceva camminare per "fare ginnastica" anche oltre la fisioterapia che le piace tanto. Lei che la portava fuori perché il sole serve alle ossa, a evitare il peggioramento dell’osteoporosi che già ha causato tre crolli vertebrali...

Ci sono tanti diritti negati. Non credo si possano classificare per importanza o valenza, ma ritengo che in questi giorni in cui giustamente si sta tanto discutendo dei sacrosanti diritti dei bambini sia necessario dar voce anche ai diritti dei membri dell’altra fascia "debole". I nostri grandi anziani sono meno teneri, meno mediaticamente interessanti e ovviamente in genere meno "belli" da vedere; raramente urlano, addirittura spesso non parlano, ma sono la nostra storia e sono un pezzo importantissimo di ciò che siamo. Tutti. Ci dev’essere un modo per restituire a queste persone il diritto agli affetti.

Molte Rsa si sono organizzate con coscienza, coraggio e umanità. Possibile che a livello di governo nazionale nessuno pensi a linee guida comuni per garantire questi diritti? Possibile che la grande stampa non possa prendersi a cuore la nostra Memoria e queste tante, troppe persone grazie alle quali sono stati trasmessi valori e ideali di generazione in generazione, ma che ora non hanno voce? Sono scampati al Covid: non facciamoli "morire dentro" per indifferenza. Hanno poco tempo davanti... occorre fare presto.

Claudia Zoppi

Aggiungo idealmente la mia firma alla sua, cara signora Claudia, per sostenere il delicato eppure pressante e ben argomentato appello che mi ha fatto avere in forma di lettera. Un appello per linee guida nazionali per le Rsa affinché si possa e si sappia modularne la gestione, unendo giusta precauzione e sacrosanta attenzione a tutto ciò che sul piano delle relazioni familiari dà senso e serenità ai giorni dei nostri nonni (mi fa effetto scriverlo, visto che anch’io, da un paio d’anni, sono diventato nonno...). Lo scrivo senza sottovalutare neppure per un istante la qualità degli operatori che anche al tempo del Covid-19 hanno reso buona e sana la vita in tante Rsa e che in altre hanno saputo fronteggiare e infine arginare la tempesta pandemica. "Avvenire" è parte della cosiddetta «grande stampa» e cerca di non essere distratto ma effettivamente vicino alla "generazione della memoria". Vicino e in ascolto. E non per vezzo, ma per convinzione profonda. E perciò anche quando ascoltare costa fatica. E tanto più ora, in questo tempo ammorbato di insidie virali di origine sia naturale sia digitale.

Credo soprattutto che il «diritto agli affetti» da lei richiamato sia un lusso necessario per ogni essere umano, e lo sostengo con particolare forza per i nostri grandi anziani. Quell’aggettivo – "grandi" – dice, infatti, sia della loro lunga e preziosa dedizione ed esperienza sia del nostro amore e del nostro debito nei loro confronti. È tutto questo che li rende speciali, il che non vuol necessariamente dire "facili" e neppure "belli". Ma semplicemente vivendo ho potuto rendermi conto anch’io, gentile e cara amica, che è affascinante e senza eguali la bellezza fisica e morale di una donna o di un uomo che indossano e interpretano gli anni che hanno accumulato senza negarli o dissimularli. Auguro a sua nonna di poter essere presto pettinata e accarezzata, con parole e anche minime attenzioni, da chi più le vuole bene.

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