L’arduo compito per Europa e Usa
giovedì 19 ottobre 2023

L’esplosione dell’altra sera all’ospedale Al Ahli Arab ha reso ancora più livida e infuocata la situazione in Medio Oriente. Nella periferia di Gaza City si è consumata – ed è stata denunciata una tragedia che ha già cambiato, almeno parzialmente, l’andamento della crisi apertasi il 7 ottobre con il feroce attacco terroristico di Hamas a Israele. Si è subito strappata la tela del dialogo che gli Stati Uniti si accingevano a tessere e le piazze sono tornate a ribollire, animate anche dal risorgente antisemitismo, ed Hezbollah ha rafforzato le sue minacce di un intervento al confine Nord. Com’è noto, dal primo giorno la risposta del governo di Tel Aviv si sta concretizzando in attacchi mirati alle basi del movimento palestinese nella Striscia. Quanto possano essere chirurgici i tentativi legittimi di difendersi – i lanci di razzi non sono mai cessati – e di colpire i responsabili del raid che ha fatto oltre 1.400 morti e 200 ostaggi è una questione decisiva in questa fase del conflitto.

Sul centro medico gestito dalla Chiesa anglicana, se si fosse trattato di un bombardamento delle forze armate con la stella di Davide, ogni proporzionalità sarebbe stata violata, anche ammesso che nella struttura, insieme ai moltissimi civili, si nascondessero armi o combattenti. I leader di Hamas hanno veicolato la tesi di un attacco che avrebbe provocato quasi 500 vittime fra pazienti e persone inermi in cerca di rifugi sicuri. La notizia ha immediatamente sollevato l’indignazione e la rabbia non solo nella regione. Il primo effetto è stato la cancellazione degli incontri tra il presidente americano, volato ieri a Tel Aviv con una fitta agenda, il re di Giordania e Abu Mazen, leader dell’Anp.

Il viaggio di Joe Biden era atteso come un momento di rilancio dell’azione diplomatica tesa a spegnere l’incendio che sta divampando sulle rive del Mediterraneo. Il capo della Casa Bianca ha confermato l’appoggio senza esitazioni a Israele – navi e aerei schierati, promesse di aiuti straordinari, veto al Consiglio di sicurezza Onu a una proposta di “pausa umanitaria” – ma ha cercato per quanto possibile di raffreddare gli animi, mentre nel mondo arabo divampavano le proteste per l’ultima strage. Ha convinto Netanyahu a concedere assistenza alla popolazione palestinese attraverso il valico di Rafah controllato dall’Egitto e ha promesso 100 milioni di aiuti americani per Gaza (più simbolici che decisivi).

“Ho fatto richieste difficili agli amici di Israele”, ha detto. Richieste di non cedere ai sentimenti di rabbia e vendetta, che una democrazia non può coltivare. E che possono portare ancora più in là il conflitto su cui molti soffiano da lontano. Biden ha confermato la ricostruzione fatta da Tel Aviv circa la paternità del massacro nell’ospedale: un missile difettoso della Jihad islamica – organizzazione alleata di Hamas – caduto nel cortile. Una ricostruzione che soltanto un’inchiesta indipendente e tempestiva potrebbe suffragare. Ciò non toglie che i dubbi rimangano sulla dinamica e il numero delle vittime, stanti il piccolo cratere al suolo, la sostanziale tenuta dell’edificio e i danni apparentemente non devastanti nell’area antistante. L’annuncio di Hamas con l’accusa all’aviazione israeliana e il bilancio agghiacciante ha però conquistato i titoli dell’informazione in tempo reale e devastato i cuori degli spettatori, creando una narrazione che sarà difficile rimodulare con la reale portata degli eventi, quale che essa sia. Se davvero l’ordigno è il frutto di un incidente – non raro – durante i lanci verso il nemico e, quindi, risultato di “fuoco amico”, non viene meno la necessità di un’azione dello Stato ebraico che limiti maggiormente gli effetti collaterali su Gaza. Più di tremila persone sono rimaste uccise finora, secondo i dati palestinesi.

Quattro ospedali erano già stati danneggiati e ieri, solo per fare un esempio, è stato distrutto un panificio industriale che serviva decine di migliaia di abitanti nel centro della Striscia. Non è accettabile che i miliziani continuino a colpire Israele e minacciarne l’esistenza. Eppure, serve anche un piano chiaro di come il governo di Tel Aviv voglia procedere, senza allontanare di fatto la possibilità di un ritorno alla convivenza nella regione. Biden si è spinto a dire di non ripetere gli errori che gli Usa commisero dopo l’11 settembre. Inseguire dovunque Benladen e i suoi seguaci che tanti lutti inflissero all’America sembrava doveroso, ma portare la guerra in Afghanistan e in Iraq ha generato, tra le altre nefaste conseguenze in Paesi mai veramente pacificati, la nascita dell’Isis, con cui facciamo di nuovo i conti oggi in Europa dopo gli attentati ad Arras e Bruxelles. Con un credibile progetto a breve termine per Gaza e tutti i palestinesi – i due Stati sembrano purtroppo ancora lontani – si può provare a sedersi a un tavolo con gli interlocutori interessati (non la Russia e probabilmente nemmeno la Cina, che difendono strumentalmente i musulmani in Medio Oriente salvo poi spesso perseguitarli dentro i loro confini).

Garantire l’indispensabile sicurezza di Israele e isolare quel che resterà di Hamas, insieme al miglioramento delle condizioni della popolazione araba, è il compito che attende Europa e Stati Uniti con le nazioni “responsabili” della regione. Quel compito per cui il Papa offre profeticamente la giornata di preghiera che si svolgerà venerdì prossimo.

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