La strada diritta della Costituzione e il (non) dar armi a chi fa la guerra
martedì 17 maggio 2022

Gentile direttore,
le scrivo perché “Avvenire”, e lei personalmente, rappresenta una delle poche voci mediatiche e culturali che insistono sulla ricerca di soluzioni di dialogo all’interno di questo conflitto. Giuliano Amato, presidente della Corte costituzionale, è tornato a sostenere che nulla vieta che l’Italia possa mandare armi, in quanto l’articolo 11 della Costituzione sarebbe subordinato all’articolo 78 («il Parlamento delibera lo stato di guerra e conferisce al governo i poteri necessari»), all’articolo 5 del Trattato Nato e all’articolo 42 dei Trattati Ue: (disposizioni sulla politica di sicurezza e di difesa comune dell’Unione Europea). Tutto questo sta creando in me e in altri con cui mi sono confrontato, confusione e anche “diffidenza” (so di usare una parola grossa) verso la nostra stessa Costituzione. Mi domando, per esempio, perché non mandare armi anche alla popolazione del Sahara Occidentale visto che il Marocco non solo le ha sottratto i suoi territori, ricchi di polifosfati, ma ha anche costruito un muro di quasi tre chilometri sui territori occupati. E ci sono anche altri Stati che si sono presi territori di altre nazioni: penso a Israele, alla Cina... e l’elenco potrebbe continuare. Se si sostiene il diritto dei popoli a difendersi e si inviano armi per ripristinare tramite esse l’integrità del proprio territorio come eccezione al “ripudio della guerra”, non capisco perché questa “regola” una volta accettata, non sia applicabile per tutti. Anzi lo capisco molto bene. Risolvere le ingiustizie inviando armi farebbe esplodere il nostro mondo in poco tempo... La nostra Costituzione ci indica un’altra strada. Siamo stati formati sui valori della Costituzione e dobbiamo crederci, manifestare uniti perché venga rispettata nelle sue intuizioni più alte. Altrimenti tanto varrebbe cambiarla! Mi auguro, invece, che il nostro Parlamento arrivi a definire chiaramente e urgentemente la posizione dell’Italia nei confronti di questa guerra e di guerre future.

Carlo Orlandini


Sono d’accordo con lei, gentile amico. L’articolo 11 della Costituzione ammette eccezioni, non stravolgimenti. Penso anche che sia un’ipocrisia non chiamare le cose con il loro nome. Anche se lo si fa, paradossalmente, non oso dire a fin di bene, ma per non provocare un male più grande. In estrema sintesi. Il presidente russo non chiama “guerra” ma «operazione militare speciale» l’invasione che ha aperto una nuova e terribile fase nel conflitto con l’Ucraina, cominciato otto anni fa, perché altrimenti dovrebbe adottare meccanismi costituzionali precisi e proclamare la mobilitazione generale con quel che ne consegue sia sul piano sociale interno sia su quello delle relazioni internazionali. Ma anche noi facciamo la nostra parte, pur senza aver invaso nessuno, e restando sul filo di un confine fragilissimo, e sempre più a rischio ogni giorno che passa, tra la solidarietà militare all’Ucraina e la co-belligeranza. Le regole di legge che ci siamo dati e i solenni impegni costituzionali e morali che abbiamo preso con noi stessi ci imporrebbero di non vendere (o comunque cedere) armi a Paesi in guerra: ma l’abbiamo fatto e continuiamo a farlo. Le guerre si fanno con le armi, la pace disarmando, cioè prevenendo le ostilità e – quando non si sa o non si vuole prevenire – fermando e deponendo le armi, non certo moltiplicandole. Il Governo ha cominciato a cambiare accenti e passo, vedremo giovedì 19 maggio che cosa dirà al Parlamento e cosa questi risponderà, con o senza voto. La strada dell’art. 11 è impegnativa e diritta, sarebbe bene se nessuno si ingegnasse a renderla tortuosa e azzardata.

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