Guardare i poveri negli occhi e scoprire un mare profondo
mercoledì 3 gennaio 2024

«Chi sei?», domandano sacerdoti e levìti a san Giovanni Battista: la loro è una provocazione a cui il cugino di Gesù risponde dicendo chi non è. «Come ti chiami?», domanda la giovane Anna all’uomo steso nel sacco a pelo. Lui il nome non vuole dirlo. Quel nome dietro il quale si scoprirebbe un’identità, una vita dura e avara, percepita con rabbia, forse come un fallimento. Ma il sorriso di Anna è troppo dolce e alla fine l’uomo, un italiano che ha già superato la mezza età, butta lì un nome, probabilmente inventato al momento, perché l’occasione inattesa non se la lascia sfuggire.

Dietro alla ragazza c’è un bel gruppo di persone, attrezzate con pasti caldi, bibite, frutta e panettoni. Chi siete, chiede con un sorriso furbo e simpatico. I volontari di sant’Egidio non lo hanno mai visto lì in zona Repubblica-via Nazionale. Loro si dividono le strade durante tutto l’anno, e lui conferma di essere «di via del Corso», ma solo per la notte di Capodanno si è spostato. Probabilmente di là c’è troppo viavai e tanti controlli delle forze dell’ordine, dispiegate nella Capitale per l’occasione.

Il senzatetto prende tutto volentieri, chiacchiera un po’, poi “si congeda”, infilandosi sotto alle sue coperte. Per il folto gruppo è il momento di andare, di muoversi alla ricerca di altri bisognosi da scovare, appunto perché tutti si spostano nelle sere come quella di fine anno.

Ma non è difficile trovarli. I bivacchi sono tra buio e penombra, a pochi metri dalle sfarzose luci dei grandi alberghi, dei ristoranti pieni di gente allegra, più allegra del solito. Ci si fa strada tra gli spettatori che stanno uscendo dal Teatro dell’Opera, abiti lunghi, completi eleganti. In cartellone Lo Schiaccianoci. Il contrasto è forte. Senza giudizio o moralismo. È solo un contrasto molto evidente. Poco più in là un gruppo di immigrati. Si direbbero eritrei. Anche loro sono molto diffidenti all’inizio. Poi quando il primo cede alla proposta del pasto caldo, tutti gli altri gli vengono dietro. Sorridono, sfoderano un’allegria tutta loro, probabilmente lo specchio di un momento di grazia.

Più in là la miseria sembra farsi più dura. È quella da cazzotto nello stomaco.

Si concentra davanti alla stazione, nella parte buia della piazza, presa di mira dagli stormi di uccelli che lasciano un tappeto di guano a terra. E lì ci sono i giacigli a cielo aperto occupati dagli invisibili. Invisibili per chi non vuole guardarli. Molti di loro non è che ci tengano troppo a farsi vedere e se ne stanno lì, sotto ai loro fagotti bagnati dalla pioggia del pomeriggio. Qualcuno aiutato dall’alcol sembra più disponibile, e la fame vale per tutti.

Anche per la donna scontrosa che vuole solo il pasto caldo. Panettone e frutta non le interessano. L’ex detenuto invece è un fiume in piena, e davanti ai sorrisi affabili del gruppo, racconta dettagliata la sua esperienza di “innocente”. Chissà. «Ho pagato», dice, disperato per il futuro che vede davanti. A Sant’Egidio casi come questo sono ben noti e la risposta non è solo il cestino col cibo. Il responsabile del gruppo gli lascia una brochure con un indirizzo. La comunità si è attrezzata per cercare di offrire un’alternativa alla strada, un lavoro quando si riesce. E comunque ha la sua “Guida Michelin” dei poveri, dove mangiare, dormire e lavarsi.

Il gruppo è formato per lo più di giovani. Molti i volontari occasionali del Capodanno. Inesperti, con tanta voglia di fare, curiosità e un pizzico di preoccupazione. Accanto i più avvezzi raccontano e spiegano come muoversi in questo mondo “sommerso”. Nel gruppo anche meno giovani come la sottoscritta, non del tutto neofita, con l’occhio da cronista che non riesce a non raccontare. Ma lì in veste di volontaria per una notte di festa, quella speciale delle 365 dell’anno. Una delle ragazze mi chiede scherzando se sono “infiltrata”, visto che anche nella passata esperienza non sono riuscita a non raccontare il giro di Sant’Egidio sempre sulle pagine di questo giornale.

«Chi sei?», era la domanda posta ai fedeli in una domenica di Avvento. Non che fai, che spesso è la prima risposta che ci viene, anche se quello che fai rispecchia l’essere dentro di noi. «Chi cerchi?», mi sono chiesta nel tragitto, in mezzo a tanti ragazzi volontari con uno sguardo pieno di vita. Chi cerchi negli occhi di questi poveri, tu che sei abituata a guardare quelli dei disabili, un mondo familiare da 26 anni a questa parte. E perché non sei rimasta con i “tuoi” disabili, non meno poveri di vita, o almeno di quella sfarzosa che ci è passata accanto la notte di Capodanno?

Negli anni ho visto alzare l’asticella, negli anni mi è stato chiesto di guardare sofferenze sempre più grandi. Il disabile bambino si trasforma in adulto e la sofferenza si fa più dura per lui e per i suoi compagni di viaggio. Gli occhi dei poveri sono un mare profondo in cui la paura di chi li guarda si confonde con la loro. La risposta è lì, in una sofferenza che si fa specchio. Cerco il coraggio di fissarla per vedere cosa risponde il suo riflesso.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: