giovedì 27 febbraio 2020
I cristiani devono rivolgersi al Dio di Gesù, che non castiga e non si vendica con flagelli come il coronavirus. Ma può illuminare le persone e aprire a quell’amore che salva
La forza delle nostre preghiere per «contrastare» l'epidemia

Ansa

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È epidemia, non pandemia. Ma il Covid- 9 comincia a far cancellare anche i voli verso l’Italia e dall’Italia e a consigliare di non riunirsi, di non aver contatti. I contagiati sono pochi, ma è come se lo fossimo tutti. Si perdono miliardi di euro nelle Borse europee. La paura del tracollo economico e finanziario preoccupa forse di più della stessa salute dei cittadini. 'Niente allarmismi, niente panico', si dice. Sono appelli, però, diventati 'inutili chiacchiere'. Per tanti, troppi, si è creata un’atmosfera quasi bellica. Negozi presi d’assalto per approvvigionarsi di cibo e di quanto dovrebbe proteggere dal coronavirus. La tendenza è a isolarsi nel 'bunker' del proprio recinto.

Scuole chiuse per le lezioni. Anche le chiese chiuse per le Messe. Come è possibile? Molti gridano allo scandalo. In questi momenti di particolare difficoltà bisognerebbe pregare di più, celebrare più Messe, magari orientate proprio a contrastare l’epidemia del coronavirus: apposite preghiere per debellare il male. 'Liberaci dal male', invochiamo quotidianamente con la preghiera del Padre Nostro. C’è una lunga tradizione della Chiesa cattolica di preghiere e atti di culto per debellare le pestilenze o altre malattie infettive, ma anche per chiedere al Signore dell’universo che mandi la pioggia in tempi di siccità o che non faccia piovere quando l’acqua scende dal cielo a catinelle ed è rischiosamente troppa per i campi e per gli esseri umani. Il Messale romano è ricco di possibilità di scelta per ogni tipo di difficoltà umana. La fede sa bene che Dio non abbandona il suo popolo, anche quando il popolo dovesse abbandonare Dio.

E poi c’è la religiosità popolare delle nostre feste religiose, specialmente al Sud, che ogni anno ricorda i grandi eventi del passato, quando – solo per fare un esempio – a Palermo (1624) infuriava la peste e santa Rosalia apparve in sogno a un cacciatore e a una malata, indicando la via per ritrovare le sue reliquie da portare in processione per la città così finalmente liberata e purificata dal morbo. La devozione per i Santi 'protettori' è grande nel popolo cattolico per tutta la Penisola italiana. Qualche anno dopo (1630) accadde che furono i magistrati di Milano a chiedere al cardinale Borromeo di portare il corpo di san Carlo in solenne processione per le vie della città per stornare la minaccia della peste. Conosciamo le perplessità del cardinale Federigo sull’utilità di questa operazione religiosa, sia per questioni di sicurezza (il radunarsi della folla avrebbe aumentato il rischio del contagio) e sia per questioni di fede: nel caso di insuccesso, la gente avrebbe potuto perdere la fiducia nella protezione del Santo.

Oggi più di allora, non si può approfittare della 'credulità' della gente per vestire di religiosità (o di anti-religiosità) 'gesti e tempi' che hanno così poco (forse, più nulla) a che fare con la fede. Togliere l’acqua dalle acquasantiere, assumere l’eucarestia nelle mani, evitare il segno della pace, sono indicazioni del buon senso che vanno eseguite in momenti del genere, per rispetto dell’altro. Così anche le ordinanze della Prefettura che presiede all’ordine pubblico, vanno obbedite, per rispetto alle persone sempre a rischio. Per cui anche le chiese si possono/devono chiudere e questo non c’entra un fico secco con le 'ragioni di Stato' che valgono di più della 'ragioni di Fede'. La polemica è pretestuosa, anche perché – per una lunga tradizione cattolica – le Messe venivano celebrate dai sacerdoti senza popolo. La dottrina (che è rimasta) è chiara: la Messa del sacerdote è sacramento del sacrifico di Gesù, per cui anche quando non ci fosse nessuno presente, c’è sempre tutto il popolo di Dio cattolico.

Piuttosto la questione seria rimane sempre la fede e risponde all’interrogativo: come crediamo? In che cosa crediamo quando preghiamo? Il cristianesimo che esiste e resiste in società ormai post-cristiane non può non fare chiarezza su questo punto fondamentale della vita del cristiano. Dobbiamo pregare perché Dio ci soccorra in questo momento di precarietà: 'Abbi cura di noi, perché tutto è così fragile, Amore'. E quali sono le indicazioni che la gente deve chiedere ai pastori, vescovi e sacerdoti in tempi di coronavirus? Lavarsi spesso le mani; evitare contatti con persone che vivono nei focolai del virus; starnutire sull’avambraccio; o anche, sospendere il catechismo e le riunioni programmate con i giovani, questo si chiede ai pastori? Il buon senso qui – a seconda le situazioni – dovrebbe venire in nostro soccorso. Ai pastori bisognerebbe chiedere di più e ciò che attiene alla loro missione di educatori della fede cristiana, per vivere meglio di fede e con la preghiera contrastare l’epidemia. Ai pastori si domanda illuminazione su quanto una certa (falsa) credulità mette in gioco in queste occasioni: ma davvero questo coronavirus è un flagello di Dio, per puni- re la tracotanza umana? Davvero Dio ha bisogno di tante preghiere perché il suo cuore si commuova e venga in nostro aiuto? È vero che solo la preghiera e la nostra insistenza porterà Dio a intervenire e liberarci da questo male? E quali preghiere saranno più efficaci all’uopo? Una catena di trenta Messe per trenta giorni (come le Messe gregoriane) valgono di più di mille rosari?

È certo che dobbiamo pregare, ci mancherebbe altro. Di più e intensamente, senza stancarci mai. E quale sarebbe però l’effetto e la potenza o l’efficacia della preghiera? Una minore diffusione del contagio? Meno morti? Accorciare i tempi dell’epidemia? Eppure, Gesù ha insegnato a pregare e ha detto chiaramente che 'funzionano' solo le preghiere fatte 'nel suo nome'. E allora, come dovrebbero funzionare preghiere rivolte a un 'dio che non esiste', tipo il dio tappabuchi, o il deus ex machina o il dio castigatore, tanto meno il dio guerriero. I cristiani devono pregare, ma solo il Dio di Gesù, il Padre del Signore nostro Gesù Cristo che dona lo Spirito, un Dio solo e sempre amore, che non castiga, non si vendica, non manda il dolore e non terrorizza o 'piega la volontà degli esseri umani con flagelli come il coronavirus'. Preghiere rivolte a questo Dio, mettono nella condizione di pregare nel nome di Gesù, cioè fanno come lievitare chi prega verso Dio, raggiungendo il suo cuore e, da lì, fanno vedere con gli occhi stessi di Dio il dolore e la sofferenza di quanti soffrono (anche prima del coronavirus) tutti i dolori del mondo, frutto delle ingiustizie umane che inchiodano ancora Dio in una sorte di croce eterna in Dio stesso.

Dall’Agnello sgozzato, presente in Dio, emana una luce che può illuminare tutti gli uomini di buona volontà a vivere d’amore, perché solo l’amore è il frutto di una preghiera potente: l’amore che è luce per le intelligenze degli scienziati che scopriranno presto l’antidoto; l’amore che è apertura del cuore di tutti, cioè disponibilità a condividere il dolore di altri e non rinchiudersi in sé stessi, cercando di salvarsi da soli, ma offrendo il proprio contributo. Magari, è già successo, anche a rischio della vita. Come ai tempi della Sars fece il medico italiano Carlo Urbani.

Vescovo di Noto

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