La folle corsa dei prezzi e la strada virtuosa dell’aumento dei salari
sabato 22 luglio 2023

Mancavano all’appello solo le raccomandate. Ora il puzzle dei beni e dei servizi aumentati nell’ultimo anno è completo. Anche le Poste si adeguano all’inflazione. È chiaro che il ritocco di pochi centesimi al prezzo di un francobollo pesa relativamente sui bilanci familiari. Ci sono rincari ben più impattanti: dall’alimentare ai trasporti aerei. Ma l’incremento delle tariffe dei servizi postali è l’emblema di una corsa dei prezzi che non ha risparmiato nulla.

L’effetto dirompente è stato una progressiva perdita del potere d’acquisto per milioni di famiglie. E la situazione rischia di non migliorare nel breve termine. I nuovi mutui e quelli in corso a tasso variabile sono destinati ad aumentare ancora. Giovedì, del resto, la Bce ha già preannunciato un’altra salita del costo del denaro per riportare l’inflazione al 2%. Finora la politica monetaria rialzista non ha raggiunto gli effetti sperati.

Una cosa però è certa: la tanto temuta spirale prezzi-salari non si è verificata. L’ha riconosciuto la stessa presidente della Bce, Christine Lagarde, che accennando al fenomeno della greedflation (letteralmente “inflazione da avidità”) nei giorni scorsi ha accusato piuttosto le imprese di aver approfittato della salita dei prezzi per rimpinguare i bilanci, scaricando l’aumento dei costi sui consumatori. «I profitti hanno contribuito per due terzi all’inflazione domestica nel 2022, quando negli ultimi 20 anni era stato un terzo», ha sottolineato Lagarde. Non a caso, si parla di “inflazione da profitti”. In effetti, la crescita del costo del lavoro si è mantenuta su ritmi limitati.

L’Ocse ha certificato che in Italia a fine 2022 i salari reali erano calati del 7,5% rispetto al periodo pre Covid, contro una media del 2,2% dei Paesi sviluppati. È evidente che anche per l’Italia “governare” la corsa dei prezzi non è un compito facile. La lezione degli anni Settanta, con l’adozione di misure di austerità per rispondere alla crisi petrolifera, insegna che le azioni di contenimento forzato dei consumi rischiano di peggiorare la situazione.

Oggi, comunque, va giudicata positivamente la consapevolezza diffusa di quanto sia urgente sostenere le fasce della popolazione più “esposte” agli aumenti. Il dibattito nazionale sul salario minimo, a prescindere dalle posizioni in campo, ha avuto almeno il merito di mettere al centro il tema del lavoro povero. Il governo Meloni, dopo il taglio del cuneo contributivo per i redditi più bassi, ha lanciato una card da 382 euro per aiutare le famiglie più in difficoltà ad acquistare generi di prima necessità. Due giorni fa, il ministro Urso ha promesso interventi per contrastare il caro-voli e per calmierare i prezzi dei prodotti di più largo consumo.

Il problema, semmai, è che si tratta di iniziative un po’ disordinate, dall’impatto limitato e - in alcuni casi - più “spot” che di sostanza. Qualche segnale incoraggiante di attenzione su questo fronte sta arrivando anche dal tessuto produttivo. L’Abi, per esempio, ha chiesto alle banche di promuovere misure per favorire le famiglie con mutui a tasso variabile. A proposito di credito, inoltre, è appena partita la trattativa sul rinnovo del contratto dei bancari. I sindacati hanno chiesto un aumento da 435 euro.

Qualcuno l’ha giudicato consistente, ma c’è anche chi non ha fatto una piega. «Con un utile netto di 7 miliardi di euro, non ho coraggio a guardare in faccia le persone e dire che mi metto a negoziare sugli aumenti», ha dichiarato l’Ad di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina. Ecco, la tutela dei salari per mezzo della contrattazione collettiva, che passa anche da accordi rapidi sui rinnovi dei Ccnl scaduti (alcuni da molti anni), può essere una delle soluzioni meno traumatiche per allineare le retribuzioni al costo della vita crescente.

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