La coppia regale sposata da 70 anni e la nostra nostalgia d'una promessa
martedì 21 novembre 2017

Caro Avvenire, nel panorama delle coppie internazionali, che vede aumentare vertiginosamente separazioni e divorzi, desta una positiva sorpresa la notizia di due sposi che ieri 20 novembre hanno festeggiato i 70 anni di unione coniugale: la regina d’Inghilterra Elisabetta II e suo marito Filippo d’Edimburgo. In questi 70 anni di vita insieme si sono sopportati e supportati a vicenda, si sono presi cura l’uno dell’altra in ogni momento. Oggi, 91 anni la regina e 96 il marito, il Signore ha dato loro la ventura di cercarsi ancora con lo sguardo con stesso calore e affetto di 70 anni fa. La loro lunghissima unione sponsale, mentre i mass media ci bombardano con 'storie d’amore' che nascono e si consumano dalla sera alla mattina, vorrei fosse di paradigma per tutte le coppie.

Franco Petraglia Cervinara (Avellino)


Verrebbe facile osservare che dietro al matrimonio di una regina, e soprattutto in altri tempi, abiti una ragion di Stato che necessariamente, anche in mancanza di amore, avrebbe costretto a nozze d’oro e poi ancora a queste, tanto rare che non si saprebbe di quale metallo definirle. Non sappiamo di quale tessuto realmente sia questo regale matrimonio, eppure comprendo come ieri i giornali britannici si commuovessero alla ricorrenza dei 70 anni delle nozze reali. Come in un gran desiderio collettivo di assistere, tra tanti 'amori' pubblici e privati che naufragano in pochi anni o pochi mesi, a un amore che veramente duri per sempre. Elisabetta aveva solo 13 anni quando conobbe il suo futuro marito, e subito, secondo le cronache, se ne innamorò («è bello come un principe vichingo», avrebbe detto, secondo i biografi di corte). Tredici anni, pensate: chi avrebbe dato credito alla infatuazione di una ragazzina? Invece accade che settant’anni dopo quei due siano ancora insieme. Nella loro vita dorata ma scomoda, costretta nei rigidi tempi e riti del cerimoniale, avranno conosciuto certo i loro travagli, stanchezze, tentazioni di infedeltà, delusioni.

Eppure, sono ancora lì. E un Paese li guarda, e si commuove. Un Paese fatto di gente nata in altri tempi, e cresciuta in tutta un’altra morale, si intenerisce però perché almeno quei due ce l’hanno fatta, a restare assieme per sempre. Come del resto molti, della generazione della regina o quasi, che in Gran Bretagna e altrove festeggiano se non i settanta almeno i cinquanta anni di nozze. Mi piace, quando incontro una di queste coppie, starla a guardare. Dopo tanti anni assieme, spesso si somigliano, se non nei lineamenti nella espressione, nella andatura, che si è come sincronizzata con quella dell’altro. Incrocio a volte, sotto casa, al mattino, una di queste coppie di ottuagenari, che lentamente vanno a bere il caffè e poi a fare la spesa. Certe mattine si tengono per mano. Fino a poco tempo fa io non capivo: hanno ancora voglia di tenersi per mano, a ottant’anni? Poi però, approssimandomi io ai trent’anni di nozze, mi sono accorta che forse è proprio il tempo che è necessario, per cominciare – oltre all’innamoramento, alle liti, alle gelosie, alla fatica – a volersi bene davvero. Capisco adesso che, vecchi, due sposi tornino a prendersi per mano, come due ragazzi; ma in un altro modo, rasserenato, consapevole, e grato, infine, l’uno dell’altra. Forse ci vuole molto tempo per imparare a volersi bene veramente, e oggi, di tempo, non ce ne diamo affatto. Però esiste, forte, dentro di noi una nostalgia di quella promessa: nella buona e nella cattiva sorte. Per sempre. Per questo ci commuove l’immagine di una vecchia regina con il suo principe consorte, e che sia lo stesso di cui lei a tredici anni, ragazzina, disse: com’è bello, sembra un principe vichingo.

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