Il mio anno in dialogo con voi. Dai lettori domande di senso e umanità
martedì 3 aprile 2018

Un anno insieme ai lettori di “Avvenire”. Un anno a leggerne le email, e a sceglierne quotidianamente una per rispondere sul giornale. Si concludono oggi per me dodici mesi passati a capire un poco di più che cosa pensano e che cosa sperano gli uomini e le donne che, in Italia e anche all’estero, sulla edizione on line, ci leggono. Perché chi lavora in un giornale sta come seduto da una parte di un tavolo: gli arrivano i lanci d’agenzia, le segnalazioni dei corrispondenti, i servizi degli inviati. Una gran massa di informazioni dall’esterno, da filtrare e elaborare.

Dall’altra parte del tavolo ci sono i lettori, ci siete voi, che alle notizie reagite. Ed è sempre sorprendente misurare questa reazione: come osservare una cartina di tornasole che cambia colore. I nostri lettori non scrivono quasi mai subito, nell’onda dell’emozione. Riflettono un giorno, poi si decidono: una tragedia familiare li ha lasciati attoniti, e si affannano a cercarne un possibile senso; un’ingiustizia palese li ha provocati, e non possono restare zitti; una parola del Papa li ha commossi, e vogliono ringraziare. Ti aspetteresti che prevalessero i messaggi di rabbia e di protesta, viste le tante cose che, in questo Paese, non vanno. Certamente, questi messaggi non mancano: eppure arrivano numerosi anche quelli che si ostinano a voler leggere, nella durezza della realtà, dei segni di speranza. E credo che questa sia una particolarità dei lettori di “Avvenire”.

Raramente si incontra il cinismo, nella posta che arriva, e invece una partecipazione umana e dolente alle altrui storie. Come un cercare di trovare un filo che tuttavia ci unisca. Sono frequenti le domande di senso: senso della solitudine, della sofferenza. Quelle domande che raramente in pubblico ormai vengono poste, quasi fossero ingenue, o inutili; e che invece accompagnano tanti di noi, nei pensieri, come un ininterrotto rumore di fondo. Quelle domande che restano, la sera, quando si è finito di fare tutto ciò che era necessario, e però sembra che non basti ancora. È un’umanità profonda quella disegnata dalle vostre lettere; che vengono, spesso, da paesi di provincia, da angoli d’Italia lontani dalle metropoli, dove forse il tempo va più adagio, e lascia un momento per interrogarsi. C’è il professore in pensione che da Belluno racconta come gli capiti di pregare, affacciato alla finestra, per gli sconosciuti che passano, e il vedovo che spiega come lui, per quanto sembri strano, si senta ancora, da quella moglie tanto amata, profondamente accompagnato; c’è il tirocinante di medicina che una notte in Pronto Soccorso si sofferma sui volti in attesa e la loro sofferenza; c’è l’insegnante commosso dalla partecipazione dei suoi ragazzi alla colletta del Banco Alimentare. Un’Italia più attenta al bene che disposta a concentrarsi sul male, questa è la platea di “Avvenire.

Un’Italia però non “buonista”: quanta amarezza, nei mesi che precedevano le elezioni, circa l’andamento politico del Paese, quanto interrogarsi su che cosa rimanga della presenza cristiana, nell'arena pubblica. Le divisioni, poi, impari leggendo la posta di questo giornale, germinano anche fra i cattolici, fra quelli che seguono il Papa e quelli che si sentono in dovere di difendere una fede intransigente, più disposta al giudizio che alla misericordia. (Quasi che – ti domandi fra te – Cristo si potesse annunciare attraverso un codice di norme severe). E tuttavia, tuttavia il filo di quelle domande di senso, sulla vita e sulla morte, le domande normalmente taciute, accomuna i nostri diversi lettori. Come se qualcosa di davvero molto grande, infine, ci unisse, ed è ciò che ho toccato con mano in questi mesi. Grazie a tutti voi che avete scritto: grazie di questo ricco anno con voi, dall’altra parte del tavolo.

Mentre pubblico il grazie di Marina Corradi ai nostri amici lettori, la ringrazio a mia volta per la sensibilità con cui ha dialogato con la “gente d’Avvenire” ricevendo, per la prima volta nella storia di questo giornale, un onore e un onere proprio del Direttore, quello di dialogare faccia a faccia con chi si rivolge a noi. La ringrazio per la dedizione e per lo speciale timbro delle sue risposte, lo stesso che la fa amare da anni da quanti si affacciano sulle nostre pagine di carta e digitali. Da domani, riprenderò anche durante la settimana e non solo la domenica, a rispondere in prima persona. (mt)

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