In Tv più saggisti e critici che narratori e poeti: la rissa che fa spettacolo
sabato 7 ottobre 2023

Càpita sempre più spesso di vedere in tv qualche ospite invitato a esprimere il suo parere su un fatto di attualità. Poi, quando ha finito di parlare, prima che la sua immagine sparisca dallo schermo, vien mostrata la copertina del suo ultimo libro, che non c’entra niente col tema di cui si parla.

Mi chiedo, e (suppongo) vi chiedete anche voi, poiché quella copertina mostrata in primo piano è pura pubblicità, poi farà vendere quel libro, e l’autore ci guadagnerà, ebbene questo guadagno è il suo compenso per l’apparizione? Cioè: è pagato in pubblicità? Rispondo di sì. Credo che succeda. Forse non è il sistema ufficiale e generale, ma credo che succeda. Viene spontaneo pensare che la dirigenza tv, quando si domanda: “Chi possiamo intervistare su questo punto?”, abbia anche la risposta: “C’è il tale che ha appena pubblicato un libro, se lo chiamiamo viene gratis”.

Ci sono anche autori che in ogni momento hanno un libro appena uscito, e quindi sono perennemente in tv, intervistati. Questi autori onnipresenti hanno un problema: non stancare gli spettatori, non annoiarli. Non far cadere l’audience, ma semmai alzarla. Perciò devono far sì che la loro apparizione abbia il potere di attrarre. Quindi non esprimono pareri pacati, ma fanno polemiche aspre. Non rispondono a un interlocutore, ma lo insultano.

Non ragionano, ma urlano. Non stanno seduti, ma si alzano e si siedono. Non tengono le mani ferme, ma le agitano come spade. Minacciano. Se sono bravi, sbavano. Non sono mai sereni, ma sempre infuriati. Sono furie incarnate. Devono esserlo, per contratto. Vengono chiamati per questo.

Nell’impostazione del programma, gli organizzatori non dicono: “Mettiamoci anche questo tema, fa sempre presa”, ma dicono: “Chiamiamo il tale, sarà un trionfo”. Per questo ruolo vanno benissimo i critici. Non vanno bene i narratori. Inutili i poeti. Questa è la ragione per cui in tv si vedono saggisti e critici, ma non narratori e poeti. Il risultato è che nel pubblico c’è un forte ricordo dei critici scandalisti, ma non dei narratori puri. Conosciamo gli scrittori che scrivono pamphlet, non gli scrittori che scrivono racconti o romanzi. Scrivere bene non è una dote, è un handicap.

Una descrizione della città che lavora o che dorme o di un ufficio pieno di impiegati o una storia d’amore o la nascita di un figlio è noiosa e stucchevole, una battuta oscena su un ministro in carica è memorabile. Stiamo perdendo la letteratura come scrittura, come arte. Non ci resta che la scrittura come battuta, come polemica, come documento da citare. Stiamo perdendo la letteratura come sapienza, con cui arricchirci il cervello e la memoria. Siamo pieni di scritture spicciole, pettegole, da usare negli scontri verbali, contro questo o quello, in modo da stecchire l’avversario, umiliarlo, farlo cadere, e che non si rialzi più.

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