Il Paese è uno solo. Una è la Repubblica
giovedì 12 marzo 2020

«Se fosse possibile dire: saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a questo domani, credo che tutti accetteremmo di farlo, ma, cari amici, non è possibile; oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso, si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato con tutte le sue difficoltà».

Così Aldo Moro nel suo celebre ultimo discorso ai gruppi parlamentari della Dc, poco prima del rapimento, il cui 42esimo anniversario ricorre fra qualche giorno. Parole da emergenza nazionale che ben si adattano al clima che vive il Paese in questi giorni. Oltre alla speciale protezione di Maria al quale papa Francesco ha affidato l’Italia e il mondo, sul nostro destino vigila sicuramente questo statista, attraverso la Costituzione che contribuì a scrivere, e anche attraverso la figura del Capo dello Stato, che per formazione – è noto – si richiama proprio al suo insegnamento.

Viene allora da chiedersi: che cosa raccomanderebbe Moro in un momento del genere? Sul piano tecnico nessuno può ardire a ipotizzarlo, ma sul piano del metodo possiamo invece rinvenire con certezza due insegnamenti tipici della sua impostazione. Il primo: “stare sul pezzo”, come quella sua celebre frase chiedeva, senza sfuggire con irresponsabili aperitivi di gruppo, con fughe di notte dai luoghi del contagio, o illudersi di esserne fuori per fascia di età.

L’altro insegnamento moroteo è quello di sacrificare il protagonismo individuale, territoriale, per privilegiare l’obiettivo comune, attraverso l’unità di intenti delle istituzioni. In queste ore molti invocano un nuovo intervento di Sergio Mattarella, che difficilmente ci sarà. Meglio sarebbe, allora, ricordare gli inviti contenuti nel messaggio del Presidente di giovedì scorso. Un messaggio con pochi precedenti, all’indomani del “salto di qualità” nella lotta all’epidemia da Covid–19 attraverso il decreto dell’8 marzo, un appello volto a invocare nei cittadini fiducia nella scienza, rifuggendo da atteggiamenti individualisti o irrazionali, e alle istituzioni unità di intenti, uniformandosi alla disposizioni del governo e delle autorità sanitarie.

Ora, in una terra incognita come quella in cui siamo, rimbalzarsi le accuse di aver cambiato strategia in corsa non serve. Tutti avevamo sperato, chi più chi meno, di non esser dentro fino al collo. Ma ora che ci siamo, e lo abbiamo capito tutti, non serve a nessuno giocarsi la tripla, come al Totocalcio di una volta, puntando un po’ a condividere i meriti se vittoria sarà, e un po’ o a minare il terreno di “l’avevo detto” a futura memoria, in caso di sconfitta. Il dialogo fra le istituzioni prosegue, ed è importante. Ma deve essere leale. Non ha senso da parte delle Regioni prima lamentarsi di vedere propri territori inseriti come “zona rossa”, e dopo soli due giorni lamentarsi del contrario, ossia che la “zona rossa” non comporti quel blocco totale che – fra l’altro – le associazioni imprenditoriali chiedono di evitare. Il governo ha aperto a misure più restrittive, una sorta di metodo–Codogno (dimostratosi efficace) allargato a tutto il territorio, ma ha opportunamente chiesto equilibrio e univocità.

D’altronde, una volta indicata la strada, tutti possono e debbono dare una mano – Viminale, Difesa, Regioni, Comuni, autorità sanitarie – per rendere queste misure più stringenti e comprensibili a tutti gli italiani, ovunque risiedano. L’errore che rischiamo di pagare gravemente sarebbe, invece, quello di un relativismo normativo, capace di favorire un pericoloso fai–da–te che abbiamo già visto in atto, e che ora potrebbe avere conseguenze drammatiche. Tutta Italia, chiusa in casa, attende col fiato sospeso il quotidiano “bollettino di guerra” delle autorità preposte al contrasto dell’epidemia.

Dispiace che anche a quel livello qualcosa non abbia funzionato, col rischio di far arrivare, martedì, un messaggio di brusca riduzione del contagio, laddove invece si trattava solo – si spera – di un suo rallentamento, in presenza di disservizi nella tempestiva comunicazione dei dati sui tamponi effettuati, poi affluiti ieri. La trasparenza è una grande virtù della comunicazione di questa emergenza, e infatti tutti i difetti comunicativi che ci sono stati sono impietosamente sotto gli occhi di tutti, giustamente stigmatizzati.

Ma senza arrivare a invocare modelli diversi, che pure abbiamo criticato, in riferimento alla Cina, per la comunicazione tardiva e piena di falle dell’inizio. E nemmeno ha senso prendersela con l’Europa per la mancata fornitura di mascherine che probabilmente non sono nelle disponibilità degli Stati membri. Più importante è cogliere, invece, il segnale di piena e incondizionata apertura di Bruxelles agli sforamenti dei conti progressivamente annunciati dal nostro ministro dell’Economia, effetto di una sana scelta collaborativa e non oppositiva instaurata sin dall’insediamento del Conte II.

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