mercoledì 16 gennaio 2013
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Gentile direttore,
è notizia di ieri che un uomo – faccio fatica a usare questo termine – di Cosenza avrebbe abusato della figlia adottiva di origini bielorusse per dieci anni, da quando la ragazzina ne aveva nove, ovviamente senza che la moglie si accorgesse di nulla. Ora mi chiedo: cosa ci impedisce di credere che questa bambina si sarebbe trovata meglio e sarebbe stata trattata con amore e rispetto se fosse stata adottata da una coppia di omosessuali?
Raffaele Ferro, Trento
E chi ci autorizza, gentile signor Ferro, a credere che l’accusa a questo padre adottivo di aver commesso un lungo e terribile abuso sulla propria figlia sia una «regola» che giustificherebbe l’«eccezione» di affidare una creatura non a una madre e un padre, ma a due persone dello stesso sesso, cioè a due padri o a due madri cancellando, comunque, deliberatamente e ab initio una delle due figure genitoriali? Nessuno, mi creda. Neanche la denunciata infamia di un uomo – faccio fatica anch’io a usare questo termine, e ancor più quello di "papà" – capace di usare e massacrare la vita di chi gli sta accanto. La regola, nella mia esperienza che è l’esperienza di tanti, è invece che i figli sono trattati «con amore e rispetto» da mamma e papà. Non ho dubbi e sfido chiunque a dire il contrario: i casi di intollerabile violenza in famiglia tradiscono la regola dell’amore che accoglie, onora e genera, non la ribaltano. Lo so di ripetermi, ma credo che il problema, in un mondo occidentale che si mostra spesso stanco e insofferente nei confronti della nostra straordinaria normalità di uomini e di donne e dei normali limiti dell’umano, sia quello di decidersi a ricominciare a trattare «con amore e rispetto» la famiglia naturale o, come si preferisce dire oggi, tradizionale. Questa benedetta famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e una donna da troppi vituperata, ridotta alla sue patologie, confinata nelle sue possibili aberrazioni. So che non sono affatto questi il suo pensiero, il suo intendimento e la sua vita, gentile amico, e dunque non pensi neanche per un istante che io ce l’abbia con lei. Anzi, non ce l’ho proprio con nessuno. Neppure con quelli che m’indurrebbero a dire che è proprio vero che certo presunto «meglio è nemico del bene». Cerco solo di testimoniare, con passione e per semplice amore di verità, qualcosa che è essenziale e fecondo, che non va ridotto al suo peggio e mai potrà essere fatto diventare niente.
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