Costretti a ridare tempo al tempo tra attese ingiuste e giuste speranze
giovedì 30 dicembre 2021

Gentile direttore,
non è una scelta, è una strada obbligata. La pandemia ha portato alla ribalta una dimensione di tempo rimossa dalle vecchie generazioni e quasi sconosciuta alle giovani, quella dell’attesa. Il tempo destinato ad attendere uno dei tanti possibili nuovi sviluppi cui la pandemia espone le nostre vite in questi due anni è aumentato a dismisura. Tralasciando i casi i più gravi in cui il tempo è sofferenza, se non addirittura anticamera della fine, nella migliore delle ipotesi bisogna aspettare giorni o settimane per prendere consapevolezza dei sintomi, conoscere la diagnosi della malattia o, semplicemente, la negativizzazione. E, uscendo dal pianeta Covid, le persone con altre patologie sono costrette ad attendere mesi, anni per essere operate, monitorate o semplicemente sottoposte a terapie che consentano loro di convivere con la malattia. Nella vita di tanti esseri umani di Paesi e continenti lontani e diversi, il tempo ha assunto nuove dimensioni e valenze, un ritorno al passato che investe anche chi non è colpito dall’infezione, perché il tempo di tutti è comunque e sempre in qualche modo segnato dall’attesa, anche solo per le ormai sistematiche code davanti ai negozi. Siamo ben lontani dallo slogan imperante sino a qualche tempo fa: ridurre a ogni costo i tempi di attesa! L’attesa si è ripresa i suoi spazi, partendo dalla... nostra fisiologia. Resta da chiedersi se e come, al di là dell’usura psichica cui siamo tutti inesorabilmente sottoposti, questo “nuovo” tempo possa essere utilmente impiegato.
Giuseppe Barbanti, Venezia Mestre


Non tutte le attese sono uguali, gentile signor Barbanti. E non tutte sono umane e giuste. Lei lo fa garbatamente capire, io preferisco dirlo a chiare note. Sarebbe bello per davvero se questa faticosa e triste stagione pandemica avesse soprattutto insegnato a noi italiani a restituire un ritmo umanamente sostenibile alla nostra quotidianità e, per di più, a fare la fila davanti a uffici e negozi usando rispetto e mantenendo saggia distanza gli uni dagli altri (una pratica di civile pazienza che non ci aveva quasi mai visto primeggiare). Purtroppo, infatti, ci sono anche attese che sono e restano frutto di disorganizzazione, di imprevidenza, di indifferenza e di egoismo. Come le attese di una vaccinazione globale ancora ben lontana dal realizzarsi. O quelle a cui i no-vax colpiti dal Covid costringono le persone che patiscono altre serie malattie. Già, ripetiamocelo ancora una volta, quel loro rifiuto crea le premesse per occupare e quasi “commissariare” le strutture ospedaliere dove i non vaccinati finiscono in percentuali impressionati, sottraendo gli spazi e ritardando le cure a uomini e donne che ne hanno assoluto bisogno. Quel “no” pesa come un macigno anche per questo. E non si deve tacerlo. Così come non si può tacere che ogni giorno sprecato nella lotta alla fame e alla miseria, alle solitudini e alle oppressioni, alle stragi di inermi e di verità è padre di attese sanguinanti come ferite e, troppo spesso, come assassinii.
Ma è vero che ci sono attese preziose e dolci, sebbene nessuna di esse sia mai scontata e facile. L’attesa di un figlio, di una persona amata, di un lavoro per il quale ci si è ben preparati... l’attesa di una risposta, dell’alba o del tramonto, di giorni o sere di festa... l’attesa di un atto di giustizia, di una liberazione, di una scoperta, di un incontro, di un ritorno... La stessa fede cristiana è fedeltà attiva a una grande attesa. Dare tempo al tempo, in questo senso, significa saper vivere e dare giusto valore a tutto nella nostra esistenza e nella vita della comunità di cui siamo parte e addirittura nella vicenda del mondo. Significa comprendere e affrontare tutto per quel che è e per il piccolo o grande dono che, comunque, porta dentro di sé.
Ragionarci mentre siamo sul confine tra due anni – uno carico di ricordi dolce-amari, l’altro di speranze – è un buon modo per farci gli auguri. Che, se autentici e non appena eco di una stanca formula, sono un’attesa che nutriamo per amore: ci coinvolge interamente eppure non è solo di noi e per noi. Auguri, allora, a lei e a tutti.


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