venerdì 1 febbraio 2013
COMMENTA E CONDIVIDI
Gentile direttore,desidero esprimere ad Avvenire il mio apprezzamento per l’informazione aggiornata, corretta, equilibrata sull’andamento della corrente campagna elettorale e dei suoi contenuti programmatici e anche per l’evidenza che viene data ai nomi dei candidati provenienti da associazioni e movimenti di ispirazione cristiana o, comunque, cristianamente ispirati. È una linea informativa che fa tanto più piacere in quanto in questa campagna è purtroppo presente abbastanza spesso un atteggiamento decisamente sguaiato o talvolta anche offensivo dell’avversario, un’incapacità – sembrerebbe – di ascoltare l’altro. Qualche volta si ha quasi l’impressione che l’abilità di fare politica possa consistere nel controbattere l’altro, di metterne in evidenza il negativo con scambi di accuse (talvolta inverosimili o contraddittorie), o  addirittura di insulti. È difficile credere che con una tale conflittualità litigiosa si possa arrivare al bene comune. Non è che tutti si comportino così, ma chi lo fa, spesso fa tendenza. E io penso che i politici cristiani dovrebbero cercare di modificare questo stato di cose. Si parla spesso e giustamente di “valori non negoziabili”, sia in campo bioetico che sociale... ed è sacrosanto difenderli. Per questo il cardinal Bagnasco ha chiesto agli esponenti cattolici «una concreta convergenza sulle questioni eticamente sensibili» e in questo senso ha scritto più volte anche Avvenire. A me viene da pensare che accanto a questi doverosi impegni, negli incontri e nel confrontarsi dei cristiani si dovrebbe tener presente quello che il Figlio di Dio stesso ha presentato come il primo “valore non negoziabile” per i suoi. Ha detto Gesù: «Questo è il mio comandamento: amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi», e ha aggiunto: «Da questo riconosceranno che siete miei discepoli, se vi amerete l’un l’altro». Io non voglio apparire ingenuo, ma mi augurerei e prego perché anche nell’azione politica ci sia questo amore che ci è stato insegnato e raccomandato almeno fra i cristiani, anche fra quelli che seguono la politica solo in tv o sulla stampa: non bisogna demonizzare nessuno, una concreta convergenza (nei modi che la politica esige, senza cioè imbrogli, mistificazioni o imprudenze) anche sul comandamento che Gesù ha chiamato “suo”. Se il Figlio di Dio ce lo ha chiesto si tratta sicuramente di qualcosa di praticabile e doveroso.
GianCarlo Sina, Pordenone
Gentile direttore. a poco meno di un mese dalle prossime elezioni politiche, le confesso la profonda delusione e lo schifo viscerale che provo. Nutro profonda delusione perché, come cattolico, dopo i due incontri di Todi, mi aspettavo più coraggio e determinazione da parte di coloro che in quella sede avevano dato adito alla speranza che ci si potesse di nuovo ritrovare in un soggetto politico laico, sì, ma pur sempre di ispirazione e di forte presenza cristiana. Non è accaduto. Tutti i partiti hanno fagocitato, nelle rispettive liste, tanti nomi buoni e validi ma che, alla fine, loro malgrado, serviranno solo da porta-voti. Non mi entusiasma proprio la soluzione di essere presenti in tante liste diverse, perché tanto si può essere «uniti nei valori non negoziabili». Mi chiedo: ma quando all’interno di una partito o di una coalizione si è una sparuta minoranza, quali possibilità si hanno di far valere, concretamente, le giuste ragioni? È così difficile rendersi conto di una cosa tanto semplice? Solo noi cattolici siamo così attaccati ai vari personalismi da vanificare ogni forma di aggregazione significativa? Lo schifo viscerale, quello che molto probabilmente mi porterà a scegliere di esercitare il mio diritto a non votare, è determinato non tanto dalla piega che ha preso questa campagna elettorale (che cosa potevamo aspettarci di meglio?), quanto per quello che in Parlamento non si è fatto – anzi, non si è voluto fare – nei trascorsi mesi di “governo tecnico”: in primo luogo una riforma elettorale degna di un Paese civile, i tagli ai costi della politica a tutti i livelli, nuove regole di trasparenza per accedere alle liste. La lista sarebbe lunga, ma mi fermo qui, sperando che il mio sfogo possa servire a riflettere, a chiedersi in quale palude ci stiamo inabissando. E, soprattutto, augurandomi che l’intellighenzia cattolica italiana, si renda conto, che non è più tempo di giocare a nascondino.
 
Gianvito Laforgia
Ecco due approcci a questa campagna elettorale assai diversi eppure basati su una stessa sensibilità e su un’attesa importante di buona politica nella forma e nella sostanza. Sentimenti e valutazioni che so condivisi da tantissimi altri lettori (ed elettori). Spero che qualche politico – non solo “cattolico”, ma meglio se motivato dalla fede nel suo impegno pubblico ­– li legga e, con la dovuta serietà, ci rifletta su. Le due lettere ricapitolano, infatti, temi e problemi che abbiamo affrontato e approfondito tante volte su Avvenire e anche in questo spazio di dialogo coi lettori. Vorrei solo sottolineare di essere più che convinto che il signor Sina non è affatto il solo a desiderare, anzi a pretendere, che lo stile di chi sta e opera (o si candida a farlo) nelle Istituzioni – e soprattutto quello di chi si definisce cristiano – sia sempre immediatamente e positivamente riconoscibile. Siamo davvero un’infinità a pensarla così. E non lo facciamo per ingenuità, cari amici, ma per civiltà. Mai più – ripeto mai più – vorremmo assistere agli indecorosi spettacoli, alle penose scoperte, alle mortificanti e squalificanti diatribe che hanno segnato in modo indelebile gli ultimi e, per tanti versi, insopportabili anni della cosiddetta Seconda Repubblica. Al signor Laforgia che vive queste settimane come una prosecuzione deludente e addirittura repellente di quella infausta stagione dico che non ha tutti i torti, ma non avrebbe più ragione se si astenesse dallo scegliere, per quanto si può e meglio che si può, nella situazione data. Ognuno di noi deve fare la propria parte per realizzare il «bene comune» realisticamente possibile, senza rilasciare deleghe in bianco: e queste sarebbero un voto sovrappensiero o un non-voto che grida e pesa solo per un giorno (quello degli scrutini). Credo che dobbiamo saper concepire – e non solo a parole – le elezioni del 24 e 25 febbraio come un nuovo cruciale passaggio nel processo di costante pressione “dal basso” che ottenere un cambiamento di passo, di regole, di assetto e di qualità della nostra politica. Votiamo, insomma, e poi non mettiamoci in tribuna a guardare la partita. Ma giochiamocela. Mai come stavolta mi pare, infatti, chiaro che il “nuovo” della politica comincerà – se comincerà, e deve cominciare altrimenti saranno dolori per tutti – anche in Parlamento, ma per una gran parte fuori di esso. Nella società italiana, in un pre-politico che non sopporta più pre-potenze “dall’alto”. A tale preoccupata eppure stimolante conclusione costringe il tentativo (non riuscito, e però comunque condizionante) di “congelare il passato”. Cioè di riproporre il vecchio bipolarismo furioso e inconcludente sul piano della riforma e della misura davvero necessarie al Paese. In questo senso, siamo davvero tutti nella stessa barca: cattolici impegnati, cattolici tiepidi, laici positivi e, persino, laici negativi (quelli che noi definiamo “laicisti”). E penso che non sia affatto un male se, ognuno per la parte che gli spetta, ci rifiutiamo di lasciare che la barca vada alla deriva, trascinata dalla corrente determinata dalle scelte dei soliti noti e da certe ben note e distorcenti proiezioni (politiche e mediatiche) del presente e del futuro di questo nostro Paese. Mi pare che per nessuno questa possa essere la stagione del “nascondino”. Tanto meno per i cattolici, che comunque qualcosa d’importante su cui essere sempre uniti ce l’hanno.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI