lunedì 6 ottobre 2014
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Caro direttore,
chissà quando riusciremo a vedere un’Italia migliore, in tutti i sensi. Potremmo cominciare a farla migliore noi, gente comune, nel nostro piccolo, con semplici gesti, finalmente con una vittoria sulla pigrizia e rassegnazione, evitando per una volta i “tanto cosa cambia” e i “così fan tutti”, senza abbandonarci alla sfiducia e allo sconforto, ma rimettendo in moto quell’energia e creatività, che tante volte ci hanno risollevato nei periodi più bui della nostra storia. Il momento attuale fa registrare freddezza e disimpegno, soprattutto da parte dei giovani, non solo nei confronti della politica, ma anche verso un’attiva partecipazione sociale. La colpa probabilmente è di noi adulti, ma anche della stessa politica, che con le sue contraddizioni, fa di tutto per raffreddare gli entusiasmi e allontanare da sé le nuove generazioni. Cominciamo a credere davvero che un’Italia migliore possiamo contribuire a costruirla anche noi quotidianamente, col nostro modo di vivere, col nostro senso morale, con la nostra onestà, col nostro talento, difendendo l’ambiente, col rispetto della legge scritta e non scritta e con la coscienza che non ci sono diritti da riscuotere se non si pagano i doveri. Pensando anche alle future generazioni, altrimenti destinate a un triste esilio.
Michele Massa, Bologna
Mi piace la sua volontà di non arrendersi, caro signor Massa, e la passione con cui insiste sulla parte che le spetta e che spetta a tutti gli «adulti» (tutti, qualunque ruolo ricoprano, politico e no). Mi piace l’accento sui doveri delle generazioni alla quale appartiene anche la mia. Uomini e donne che, purtroppo, sono in molti casi diventati anche maestri di «freddezza e disimpegno» in un tempo che ha bisogno di ideali, di progetti e di rapporti umani caldi, persino roventi, capaci di accendere impegni concreti per un’Italia migliore. Persone preoccupate così tanto dal presente che vivono e dal futuro che progettano per sé da dimostrarsi, magari non nei sentimenti ma nei fatti, incuranti del domani dei figli e dei nipoti. Un’attitudine che emerge con tremenda efficacia dalla realtà dei folli avvelenamenti e dall’altrettanto insensata incuria con cui umiliamo e imbruttiamo la nostra meravigliosa terra e le sue acque. Un egoismo che sembra rovesciare malamente la saggezza antica della nostra gente, condensata nell’immagine dei nonni che piantavano oliveti e davano vita a grandi opere civili e religiose pensando ai figli dei propri figli, guardando in alto e lontano. Mi piace la chiarezza con cui lei riafferma l’importanza dell’ordinario – la vita quotidiana e il modo in cui la conduciamo – nello straordinario sforzo per risollevarci come comunità civile, come popolo. Credo, invece, che i giovani siano molto meno «freddi» e «disimpegnati» di quanto si sia indotti a pensare dalla narrazione mediatica prevalente. Sarà che vengo da mesi intensi, in cui ho potuto toccare con mano – e, assieme ai miei colleghi, ho cercato di raccontare con tutta la possibile verità – ciò che parti importanti di questo mondo giovanile italiano pensano e fanno per se stessi e per gli altri, ma ho chiara e netta la consapevolezza delle energie giovani positive, impegnate e appunto “calde”, che in questo nostro Paese dobbiamo deciderci a rispettare e a liberare. Perché i nostri figli non sono un problema (li si pensa in questi termini ancor prima che nascano…), ma una ricchezza. Ed è semplicemente incredibile che un simile patrimonio non sia messo degnamente a frutto, qui e ora. Il che, caro amico, non vuol dire che i giovani italiani debbano limitare il proprio orizzonte. Ma le vie del mondo debbono essere una scelta, non una necessità. E tantomeno un esilio. Ha proprio ragione: ognuno deve fare la propria parte per rimettere le cose al loro posto, e chi ha il potere di governare e di fare le leggi deve darci una mano.
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