venerdì 24 aprile 2009
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Caro Direttore, le scrivo per sottoporle un problema di dottrina sociale che per mia ignoranza non riesco a risolvere o a focalizzare nella giusta prospettiva. Ho 41 anni sono padre da poco e precario da sempre. Essendo figlio di artigiani, vivo la condizione di precarietà senza patemi. Vivo con più disappunto il mio reddito. Sono laureato, specializzato, e credo lavoratore di buona lena; ma le mie entrate mensili sono molto distanti da quelle medie dei miei colleghi nel resto dell’Occidente. Ho notato tra le altre cose che nei Paesi dove gli stipendi sono migliori (per tutti) i tassi di natalità superano quelli di mortalità, e le famiglie sono allietate dalla presenza di più bambini. Questo vale sia per Paesi «multireligiosi» come gli Usa, sia per Paesi quali l’Irlanda, dove il cattolicesimo è parte fondante dello spirito nazionale. In entrambi i paesi gli aiuti dello Stato alle famiglie sono esigui, in quanto il reddito medio di uno o due lavoratori è sufficiente a mantenere una famiglia, come si dice dalle mie parti «all’onore del mondo». È pur vero che la sussidiarietà del clero nell’organizzazione delle scuole primarie, in Irlanda, aiuta lo Stato a non sprecare denaro, offrendo un ottimo servizio. Continuo a chiedermi senza trovare risposta come mai in Italia la Conferenza episcopale chieda aiuti per la famiglia allo Stato, invece di fare un operazione culturale più ampia costringendo a riflettere seriamente tutti i cattolici sulla questione del lavoro e della sua finalità. Penso infine che fra le finalità di una religione vi sia quella di preservare il popolo che crede in essa, e quando, in condizioni normali, vi sono più funerali che battesimi qualcosa non stia funzionando.

Giacomo Brughieri

Lei, caro Brughieri, parte dalla costatazione delle difficoltà specifiche del mercato del lavoro italiano. Sottolinea come queste alimentino la grave denatalità da cui è affetto il nostro Paese, approdando infine alla sollecitazione rivolta alla Chiesa di indirizzare l’impegno sul versante del lavoro invece di concentrarlo sulla famiglia. Condivido – impossibile non farlo – le sue considerazioni sulle difficoltà del tutto peculiari che i giovani italiani incontrano nell’accesso a un lavoro regolare, e sul livello insufficiente del reddito loro mediamente riconosciuto. Il paragone con gli altri Paesi dell’Europa occidentale – anche se qualche calcolo andrà rifatto quando le conseguenze della crisi si saranno sedimentate – è ampiamente a nostro sfavore e basta leggere le testimonianze di soddisfazione dei giovani emigrati all’estero per convincersi che molto resta da fare al fine di appianare la disparità. Mi risulta però difficile seguirla nella parte in cui chiede alla Chiesa di cambiare strada, perché mi pare impropria la stessa alternativa da lei formulata. Famiglia e lavoro non possono essere viste come realtà alternative e addirittura tra loro conflittuali. La Chiesa non si limita a « chiedere aiuti » per la famiglia, ma sottolinea l’urgenza e l’attualità di quanto già la nostra Carta costituzionale riconosceva, cioè l’importanza sostanziale di questa « società naturale fondata sul matrimonio » per l’edificazione e la tenuta di una convivenza civile armonica e ben integrata. In questo quadro non mancano parole sulle tutele da riconoscere in campo lavorativo a chi nella famiglia – solitamente le donne – è gravato di compiti di assistenza e cura verso l’infanzia, gli anziani, i malati o i portatori di handicap. A questa attenzione la Chiesa non può venire meno. Parole chiare e decise sul mondo e sulla realtà del lavoro peraltro non mancano, pronunciate con tempestività e insistenza, oramai da più di un secolo, a partire dalla Rerum Novarum di Leone XIII, che risale appunto al 1891. Anche Avvenire, nel suo piccolo, presta un’attenzione assidua e puntuale a questa realtà, al punto da aver inaugurato da tempo un supplemento settimanale specifico, intitolato ' èlavoro'. Le scelte per cambiare ciò che non va, spettano precipuamente a politica, soggetti imprenditoriali e forze sociali. Noi continueremo a pressarli, convinti che il sostegno alla famiglia generi effetti benefici anche sul complesso del mondo produttivo e sulla condizione dei lavoratori.
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