martedì 17 marzo 2009
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Caro Direttore, ritengo doveroso manifestare a lei e al vostro giornale la delusione che provo per come Avvenire si è mosso da un anno a questa parte. Prima la gravissima sottovalutazione della condizione economica dei lavoratori atipici e delle ricadute sociali della precarietà. Poi la decisione, alle ultime elezioni, di non appoggiare apertamente e con tutti i mezzi a disposizione l’unico candidato che si impegnava a favore della vita umana. Segue la ricerca sconclusionata di un dialogo nullista, dopo la formazione del governo, con gente alleata ai sostenitori dell’eutanasia, del divorzio e dell’aborto di Stato. Da ultimo, la richiesta di una legge che autorizzi il testamento biologico. A dire il vero non ho capito se non siete consapevoli di quel che potrebbe verificarsi con un referendum, o se fingete di ignorarlo. Poiché tengo ancora al Paese e alla cultura in cui sono nata, continuo a sperare che di questa colossale sciocchezza non si faccia nulla, e non si giunga ad un ennesimo affronto nei confronti della vita umana. Penso però che i limiti siano stati passati da un pezzo, da parte dei cattolici che hanno responsabilità pubbliche. Quando qualche tempo fa mi è stata spiegata l’origine della legge 194, e della cultura in cui ha preso forma, molte cose mi sono state all’improvviso chiare. È davvero inutile chiedersi ora da dove venga questa massa di incomprensione e impreparazione che caratterizza il mondo cattolico. Anni e anni di compromessi, di immobilismo e di scambi stanno semplicemente dando i loro frutti. L’altro giorno mi è venuta incontro una ragazza giovanissima, ben vestita, chiedendo se avevo da accendere. Aveva gli occhi semichiusi, alle dieci del mattino era sotto l’effetto della droga e si è allontanata barcollando. Sono rimasta immobile ad osservarla senza poter fare nulla. Su un autobus ho sopportato insieme ad altre persone, per oltre 20 minuti, degli adolescenti con la musica al massimo, che si schiaffeggiavano e si toglievano le scarpe a vicenda. Un caos totale, senza che alcuno osasse dir loro qualcosa. Si tratta di un degrado che presenta il conto. Davanti a questo, i discorsi sulla speranza non servono, è bene dirvelo con la maggiore chiarezza possibile. Come non saranno il grembiulino o il 5 deciso da un collegio di docenti a tirarci fuori dai postumi del 1968. La verità è che non abbiamo una classe politica e intellettuale all’altezza delle proprie responsabilità e della drammaticità dei tempi. Ma i giornalisti questo non lo possono dire, perché significherebbe chiamarsi in causa e perché la minaccia dei tagli alle testate è sempre in agguato, quando è lo Stato che sopperisce ai lettori. Meglio far finta che nulla di serio accada, e organizzare convegni lavacoscienza sulla scuola o illustrare campagne dissuasive nelle discoteche. Così stiamo precipitando. Il Papa sta portando sulle sue spalle tutto il peso dei compromessi fatti dai cattolici progressisti in questi anni, mentre la società raccoglie i frutti della loro ambiguità e della loro incapacità, che li ha portati a scaldare importanti poltrone. Questa linea è fallita. Bisogna voltare pagina e tornare ad una reale coerenza con il Vangelo. Gli atei in questo hanno solo da insegnarci. Chi assume un ruolo pubblico e si professa credente, ha un dovere morale verso gli altri credenti e un dovere di testimonianza verso il corpo sociale. Chi non è in grado o non intende farlo, non deve in alcun modo ricevere il sostegno della Chiesa cattolica e dei suoi esponenti. Le conseguenze delle ambiguità e dei compromessi sono molto gravi, e i cattolici veri sono stanchi di porvi rimedio. Non è in gioco qui solo il futuro della Chiesa italiana ma della tenuta sociale di questo Paese.

Alessia Affinito

Signora, io rifletterò, glielo prometto. Fin d’ora mi sento però di dirle una piccola cosa: d’istinto diffido di chi ha l’aria di aver – da solo o da sola – capito tutto, inquadrato e messo a posto l’universo, mentre gli altri sbagliano su ogni fronte. E la sua bocciatura è talmente inesorabile che è difficile non domandarsi il motivo di un pessimismo tanto catastrofico. Peraltro, anche nel passato recente lei ci ha indirizzato riflessioni dalle quali tutto emergeva tranne che una così categorica presa di distanza dalle scelte fondanti del giornale (basti il riferimento a quella pubblicata il 15 febbraio, da tutti accessibile via Internet). Comunque ripeto: rifletterò seriamente, perché i problemi da affrontare tutti i giorni sono così seri che, per nessuna autoreferenzialità ci si può permettere di disperdere frammenti di ragione, o sprazzi in grado di fare luce, ancorché provvisoria e fugace, sull’immenso campo di manovra che è il mondo contemporaneo e questo nostro Paese in particolare. Ma, a occhio e croce, temo che nessuno – neppure lei – disponga per intero della ricetta giusta. La saluto.

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