Appello da Caivano: stop camorra con una ribellione di vera normalità
mercoledì 4 marzo 2020

Caro direttore,
la tragica morte di Ugo mi ha fatto male. Sono passati 15 anni da quando Emanuele, un ragazzo della mia parrocchia, venne ucciso. Stessa età di Ugo, modalità analoghe: una rapina ai danni di una coppietta, il fidanzato era un poliziotto. Emanuele e il complice appena maggiorenne, erano alti, nel buio la pistola finta sembrava vera, la benda che copriva i loro volti non lasciava intravedere la giovanissima età. Un colpo, un colpo solo, ed Emanuele volò via. Rimanemmo sconvolti e addolorati. Ai funerali da me celebrati era presente un giovane giornalista, Roberto Saviano. Quel che vide e l’intervista che gli rilasciai finirono nel libro “Gomorra”. Mentre scrivo, al “Parco Verde” in Caivano, la mia parrocchia, è in atto l’ennesimo blitz delle forze dell’ordine. A loro va la nostra gratitudine. Purtroppo, a queste fatiche solo pochissime volte faranno seguito risultati degni di essere annotati. A queste azioni, che arrivano a intervalli regolari, la gente di qui nemmeno ci bada: già sa le cose come andranno. Ci sarà l’arresto di qualche “pedina” più che secondaria, qualche cancellata abusiva verrà divelta, si procederà al sequestro di una modica quantità di droga. Ma, poi, tutto tornerà come prima: i pusher saranno ai loro rispettivi posti; le “piazze” riapriranno; i boss riprenderanno il controllo il territorio; le vedette ricominceranno a gironzolare; le “signore” alle finestre torneranno a cantare “Maria Marì” per avvertire i rivenditori di morte sotto casa di qualche eventuale “pericolo”; giovanotti rasati, con barba e tatuaggi cavalcheranno le loro pesanti moto per allettare e intimorire. Tutto tornerà, nel giro di poche ore, a una normalità che non ha niente di normale. E qui sta la tragedia. Quando le linee di demarcazione si fanno trasparenti fino a scomparire, quando il male pretende – e tante volte ci riesce – di passare per bene, quando chi ti sta strozzando viene confuso col tuo benefattore, la speranza di riprendere il bandolo della matassa si va attenuando. Immagina, direttore, chi in contesti come questi è nato e da sempre ci vive. Il clima che ha respirato è solo questo. È del tutto normale, allora, che per lui, il nemico non sia il camorrista del quartiere, ma il carabiniere che viene ad arrestarlo o il giudice che lo condanna. Chiedo la cortesia ai nostri lettori di riflettere prima di emettere su quanto scrivo il giudizio cui hanno diritto. Questo bambino si confronterà con la sua famiglia, con gli amici, con i vicini. Da loro, e solo da loro, impara. La scuola e la Chiesa, in genere, sono visti come corpi estranei. Il prete non può assurgere a modello. Mi permetto di dire che nemmeno sulle figure di giganti come Falcone e Borsellino la scuola deve insistere più di tanto. Il motivo è semplice, il ragazzino non vuole diventare prete e non vuole essere ucciso. Servono, perciò, modelli per così dire, ordinari. Servono normalissimi lavoratori, papà, mamme, impiegati, politici onesti, trasparenti, gente che mantiene la parola data, persone di cui i ragazzi si possono fidare, professionisti che abbiano il coraggio di uscire dai santuari del loro sapere e vengano a farsi prossimo. Serve la società, proprio quella società che tante volte latita e, pur senza volerlo, consegna questi luoghi ai suoi nemici. La stessa società che fa fatica a capire che non conviene arginare queste problematiche in alcune zone, perché presto diverranno dei veri ghetti, pericolosi per tutti. Non conviene progettare e mantenere in vita i ghetti, perché i micidiali virus che nei ghetti si sviluppano, finiscono con l’infettare tutti. Nei ghetti, è vero, si vendono fiumi di droga, ma i clienti vengono da fuori. E non sempre sono tossicodipendenti che non si reggono in piedi, il più delle volte sono rispettabilissimi professionisti con tanto di auto di lusso, giacca, cravatta e computer. Costoro, pur convinti che “la camorra è una montagna di m.” con le loro richieste di droga altro non fanno che incrementare questa montagna. Direttore, credo che i parroci dei quartieri cosiddetti a rischio, e le loro stupende comunità, possano dare un grande contributo nel leggere gli eventi e proporre risposte per tentare di strappare alla strada e alla camorra i loro ragazzi. Tutto deve essere fatto in sintonia non solo con le scuole presenti sul territorio, ma anche con la politica che, in genere, in questi contesti, non ama starci molto. Insieme possiamo e dobbiamo fare qualcosa di più. Ce lo chiede la nostra umanità, la nostra fede, il nostro sviscerato amore alla vita. Non possiamo, non vogliamo rassegnarci ad accompagnare al camposanto ragazzini come Emanuele, Ugo, o peggio, come Annalisa Durante, vittima innocente della camorra di Forcella.

don Maurizio Patriciello

Così sia, caro don Maurizio, caro padre e amico. Così sia. Che venga, e venga adesso, venga subito, questa rivoluzione di vera normalità. Che scatti impetuosa e mite l’ordinaria ribellione per amore contro l’ordinarietà malata della camorra. Che s’accenda a Caivano, nella tua Campania e in tutta la nostra buona terra che la malavita piaga e tenta di piegare. E monti pure poco a poco, prima di divampare, ma sia certa e inesorabile come inesorabile è la normale risalita del giorno e la sua fatica necessaria, dopo ogni notte. Tutti noi di “Avvenire” – comunità di lavoro alla quale anche tu partecipi, con libertà e passione, da tanti anni ormai – proveremo a metterci ancor più occhi e cuore. Ma so che voi tutti – padri e madri, sorelle e fratelli maggiori, educatori e preti, uomini e donne di speranza – siete l’indispensabile prima linea. E allora che coloro che hanno potere e dovere simile al nostro, ma soprattutto quelli che rappresentano lo Stato in tutte le sue articolazioni non vi lascino mai soli e non si accontentino in nessun caso di un ordine pubblico troppo spesso rituale. Grazie a chi già fa questo e anche di più, vestendo la divisa o la toga o l’abito religioso o semplicemente facendo di una quotidiana vita buona non solo il suo cuore segreto, ma la sua stessa pelle e una voce ferma e serena in faccia ai malamente. Grazie a chi ci mette e ci metterà l’anima, insomma. Grazie a te, padre caro. E forza.

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