Al cuore del popolo
martedì 7 febbraio 2017

Il Papa ha parlato nuovamente agli Stati Uniti. L’ha fatto in maniera originale rivolgendosi ai milioni di americani che attendevano l’evento sportivo dell’anno, il Super Bowl, la finale del campionato di football americano. Nel 2015, durante la sua visita pastorale, dopo aver definito gli Usa «la terra della libertà e del sogno», della pienezza e del «perseguimento della felicità», aveva utilizzato il loro linguaggio, ripetendo il We, the people del preambolo della Costituzione del 1787, per dire che «noi, gente di questo continente, non abbiamo paura degli stranieri, perché molti di noi erano stranieri».

Domenica ha scelto ancora una volta di toccare il cuore del mondo americano: le sue categorie, i suoi miti. È sceso in campo anche lui, per quella finale. Non è restato a guardare: troppo di quanto accade nel mondo dipende da quel che avviene negli Usa, troppo di quel che il mondo sarà sta prendendo forma nel cuore della superpotenza. Era arrivato un invito e occorreva, dunque, essere lì, a Houston. Cogliere l’occasione di rivolgersi in modo diretto a un’uditorio vastissimo e plurale.

Come un quarterback, il regista, di grande intuito ed esperienza, come quel Tom Brady che ha trionfato ieri, Francesco ha scelto di lanciare la palla in profondità, rubando il tempo, sorprendendo chi non si aspettava una linea di condotta così poco istituzionale, registrando un video breve ma denso, con efficacia comunicativa. «Prendere parte ad attività sportive ci fa andare oltre la nostra visione personale della vita […], ci fa imparare il significato del sacrificio, crescere nel rispetto e nella fedeltà alle regole», ha esordito papa Bergoglio. E scendendo in campo, lo ha fatto secondo le regole. Ha parlato di sport, esaltandone i tradizionali valori. Ma, come sanno fare gli atleti di livello, ha spostato il gioco sul terreno dove era più forte. Il messaggio non è tanto sulla competizione, bensì su ciò che gli sta più a cuore, cioè su quella capacità di apertura e di incontro che la storia americana ha espresso nei secoli. Questa, oggi, sembra almeno parzialmente in crisi con il rischio di trascinare con sé verso la chiusura buona parte del mondo occidentale.

Francesco ha registrato il video in spagnolo, lingua madre sua, di milioni di latinos statunitensi, e di gran parte di coloro che il muro sul confine messicano dovrebbe contribuire a bloccare e respingere. Rivolgendosi agli Stati Uniti, nel contesto di quella sorta di liturgia a stelle e strisce che è una finale di football, il Papa ha ribadito che il continente americano è uno solo, e che lo sport, la vita, la storia si muovono nell’ambito di «una cultura dell’incontro» e devono contribuire a costruire «un mondo di pace»: «Possa il Super Bowl di quest’anno essere un segno di pace, amicizia e solidarietà per il mondo».

In molti pensano che di fronte alle politiche di Trump, l’unica altra personalità a cui molti guardano in questo momento è papa Francesco. È evidente che il Papa non ha e non avrà mai un ruolo strettamente politico, ma è anche vero che il suo magistero si manifesta come una guida morale in grado di comunicare, trasmettere e proporre una visione per il futuro e non solo un’abborracciata tenuta del presente.

Parlando a un mondo americano raccolto attorno all’arena di Houston, Francesco ha scelto in fondo di comunicare la sua visione a un’arena ben più grande e globale. Gettando un ponte verso una folla plurale partecipe di un evento sportivo, Bergoglio si è mostrato pronto a stravolgere gli schemi consueti, a tracciare sulla lavagnetta la freccia che può portare verso esiti nuovi e sorprendenti. Insistendo nell’indicare la via dell’incontro e del dialogo, Francesco ha ricordato a tutti che ogni squadra è vincente se vive questi valori. Tutti interi, fino in fondo.

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