Si apre un altro tempo nella partita catalana
martedì 15 ottobre 2019

Solo a prima vista la sentenza del Tribunale supremo spagnolo – che ieri ha inflitto condanne fino a 13 anni per i principali protagonisti del processo secessionista catalano del 2017 – può sembrare una conclusione a una vicenda che ha rischiato, due anni fa, di assumere portata tragica, malgrado l’invocazione un po’ ipocrita della non violenza. In realtà il conflitto catalano resta aperto, con tutte le sue contraddizioni, e certo non si poteva attendere dalla via della repressione penale una risposta a problemi che hanno carattere politico.

Anzitutto, la sentenza: 493 pagine per condannare Oriol Junqueras (già vicepresidente della Generalitat de Catalunya) e altri esponenti del movimento indipendentista - in gran parte membri del governo o del Parlamento catalano - per i reati di sedizione e di malversazione di denaro pubblico. Il primo reato a causa dell’insieme di attività poste in essere in chiaro contrasto con la Costituzione e con le leggi spagnole e con una serie di sentenze del Tribunale costituzionale di Madrid per 'disconnettere' la Regione catalana dallo Stato spagnolo, trasformandola in un ordine giuridico sovrano, mediante una serie di atti giuridici (dichiarazione di indipendenza, alcune leggi e la convocazione di un referendum indipendentista) e materiali (organizzazione di attività di pressione su organi statali, fermatisi al margine della violenza fisica). Il reato di malversazione ha invece a oggetto l’uso di fondi pubblici per finalità proibite dalle norme giuridiche spagnole e dalle sentenze del Tribunale costituzionale: data la quantità dei denari pubblici utilizzati, si tratta di 'grave' malversazione. Infine tre condanne minori a funzionari pubblici catalani per aver emesso decreti che hanno reso materialmente possibile le spese illegali. Sul piano del diritto positivo, sembra ci sia davvero poco da dire, data la gravità dei comportamenti posti in essere dai protagonisti del procés.

Uno Stato che si rispetti non tollera facilmente questo genere di sfide alla sua esistenza politica e in Italia, anni fa, alcuni sprovveduti se la passarono piuttosto male per molto meno (l’incursione in piazza San Marco a Venezia con un finto mezzo blindato e la scalata al campanile). In altre parole: i secessionisti catalani hanno consapevolmente intrapreso una via assai rischiosa. L’alternativa era chiara: se il loro tentativo di creare uno Stato catalano indipendente avesse avuto successo, essi ora verrebbero celebrati come padri della (nuova) patria.

Non avendo raggiunto l’obiettivo, essi sono trattati come criminali comuni. È la vecchia scommessa degli aspiranti rivoluzionari, ormai da secoli. Detto questo, poiché l’indipendentismo ha indubbiamente basi estese nella Regione catalana – e a questo proposito è irrilevante che esso rappresenti una lieve maggioranza o una grossa minoranza – il problema, dal punto di vista politico non si chiude certo qui. A parte le proteste immediate, del resto scontate, la battaglia indipendentista continuerà. Così come continuerà la resistenza, sia pur meno chiassosa, dei catalani 'costituzionalisti', che non intendono essere trasformati in cittadini di serie B di uno Stato in cui non si riconoscono e rivendicano il diritto di continuare a essere e a considerarsi spagnoli, oltre che catalani. Ma anche dal punto di vista giuridico, alcune porte restano aperte.

Oltre all’incidente di nullità che può essere esperito davanti allo stesso Tribunale supremo e al recurso de amparo al Tribunale costituzionale spagnolo, resterà aperta la via del ricorso al Tribunale europeo dei diritti umani, denunciando la violazione della libertà di espressione e del diritto di voto. In astratto gli argomenti utilizzabili per sostenere che tali diritti siano stati lesi appaiono poco plausibili, dato che si è trattato non di pensieri e parole, ma di azioni concrete e che queste, e non le prime, sono state oggetto di condanna. Ma il Tribunale di Strasburgo è noto per la sua creatività, per la scarsa sensibilità alle ragioni degli Stati e per un approccio spesso irresponsabilmente libertario, che in questo caso potrebbe trovare terreno fertile.

Inoltre vi è un lato meno evidente della sentenza del Tribunale supremo, che potrebbe avere presto importanti effetti pratici: essa ha respinto l’esclusione dei condannati dal regime carcerario di maggior favore, evitando così che i condannati debbano trascorrere in carcere almeno metà della pena prima di godere della semilibertà. A quest’ultima, dunque, i condannati potranno avere accesso ben presto, sulla base della valutazione in concreto dei tribunali di sorveglianza. Il che potrebbe sdrammatizzare la durezza delle pene irrogate ieri ai leader catalanisti, ma anche rafforzarli nell’intento di riprendere da subito la loro azione secessionista. Anche per questo motivo il quotidiano madrileno 'El Mundo' ha osservato che la sentenza «non piace a nessuno». Non vi sono dubbi: la sentenza del Supremo non chiude la partita, ne apre soltanto una fase nuova.

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