giovedì 26 ottobre 2017
Il Consiglio di Stato ha deciso che il simbolo cristiano debba essere rimosso in nome della laicità. Decisione che appare illogica e non rispettosa della storia di questo Paese
Senza quella croce Giovanni Paolo II non si può capire
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Non c’è motivo per cui la vera laicità dovrebbe temere il fatto religioso. In fondo siamo tutti laici, cioè uomini capaci di intendere e di volere senza il bisogno di fare riferimento alla fede in Dio. Non tutti i laici sono credenti, tutti i credenti, però, sono e restano laici, almeno che non appartengono al clero. Il rispetto per le diverse posizioni sta alla base di ogni credenza laica o religiosa che sia.

Non solo, ma il vero laico senza religione così come il vero laico religioso faranno attenzione entrambi a non offendere, calpestare, umiliare le sensibilità altrui. In Francia è stato eretto un monumento a san Giovanni Paolo II. La statua è inserita in un arco sovrastato da una croce. Quella croce deve essere eliminata perché “ viola la legge sulla separazione fra Stato e Chiesa”. Il tribunale ha deciso così. Non è la fine del mondo, il sole all’alba sorgerà lo stesso, i poveri delle nostre periferie e delle città opulenti domani dovranno ancora elemosinare un piatto di pasta alle tante mense di solidarietà. No, non mi strappo le vesti per la croce che sarà eliminata dal monumento eretto al Papa, mi chiedo solo se ne valeva la pena. (LEGGI LA NOTIZIA)

Una vittoria? E di chi? I cristiani non hanno paura di confrontarsi con la ragione, al contrario ritengono che rappresenti il terreno comune sul quale incontrarsi, rispettarsi, amarsi. Credere in Dio è atto di ragione prima e di fede dopo. Pensare che le galassie, i gatti, gli elefanti, i nostri bambini si siano fatti da soli non è proprio del tutto logico. Se ne può discutere, ponendo ognuno attenzione a quello che dice e crede l’altro. La vita creata da Dio rimane un mistero, fattasi da sola è un assurdo. Nessun problema quindi se in Francia salta un’ altra croce da una pubblica piazza. Ritorna la domanda: ne valeva la pena visto che quel monumento è dedicato a un uomo del ventesimo secolo riconosciuto da tutti, laici, cristiani, credenti delle diverse religioni, tra i protagonisti che più hanno inciso nella storia dell’ umanità, del secolo cosiddetto “breve”?

Quando i bambini che vanno a scuola la mattina, chiederanno chi è quel signore e perché e presente nel loro villaggio, le mamme dovranno raccontare la storia di un bambino come loro, nato in Polonia alla fine della prima guerra mondiale e morto a Roma nei primi anni del terzo millennio. Un uomo che con la Francia, a prima vista, non dovrebbe avere in comune niente se non fosse diventato prete, poi vescovo, poi cardinale e infine papa della Chiesa cattolica. Quel monumento gli è stato edificato non per motivi strettamente religiosi, ma squisitamente umani. Quel papa, infatti, non si preoccupò solo della sua Chiesa ma dell’umanità intera, la sua storia non è separabile dalla croce che un tempo sovrastava il monumento.

Papa Wojtyla senza quella croce non si capisce, non si spiega, non può essere compreso, non esiste. La mamma dirà al suo bambino che le prime parole del cardinale diventato papa furono: « Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo… Non abbiate paura». Il Papa invitava tutti, credenti e non credenti, a non temere di accostarsi all’uomo di Nazareth, perché la sua vita, i suoi discorsi, i suoi insegnamenti, le sue parabole hanno sempre avuto a cuore il vero bene dell’ essere umano in quanto singolo e dell’ intera umanità.

Quel papa invitava ad abbattere le micidiali barriere tra ricchi e poveri, bianchi e neri, uomini e donne. Era un uomo bello, atletico, intelligente, colto, filosofo, poeta, ma col passare del tempo rimase inchiodato su una sedia a rotelle da una malattia che gli portò via anche la parola. Papa Giovanni Paolo II non se ne vergognò, non si nascose, non venne meno ai suoi impegni, ma si mostrò al mondo fragile, piegato su se stesso, biascicando le parole che un tempo rimbombavano come tuoni. Lo fece anche e soprattutto per gridare al mondo che i malati, i vecchi, gli esseri più fragili e indifesi vanno aiutati, curati, compresi; messi al centro della famiglia, della Chiesa, della società.

Se nel redigere il progetto del monumento a papa Wojtyla, l’architetto non avesse previsto la croce sovrastante nessuno ci avrebbe fatto caso. Le mamme di Ploermel in Bretagna ai loro bambini avrebbero raccontato la storia del papa polacco senza difficoltà. Oggi che la croce deve essere abbattuta è difficile soffocare un moto di dolore e di imbarazzo.

La nazione che fu la “primogenita della Chiesa” si vergogna forse di cose di cui dovrebbe vantarsi? Crede che quel legno incrociato la renda meno laica, più razionale, più capace di comprensione e di fratellanza? Eppure senza quella croce non esisterebbe san Giovanni Paolo II. E prima di lui i francesi Giovanna d’ Arco, Vincenzo de Paoli, Bernadette Soubirous, san Luigi re di Francia. I santi non sono mai solo uomini di fede, non appartengono solo alla Chiesa. Non dividono, uniscono. Quando si è trattato di amare e di servire non sono andati troppo per il sottile, non hanno badato alle differenze. Quando c’era da aiutare gli uomini, si sono piegati su di loro senza chiedersi se fossero laici o credenti, buoni o cattivi, giovani o vecchi. I santi non si lasciano incatenare da niente e da nessuno. Seguono un itineraio sconosciuto ai comuni mortali e tante volte a se stessi, in preda a una febbre che li obbliga ad amare gli uomini come il Signore che adorano chiede loro, cioè fino al martirio, cruento o incuento che sia.

Quei santi senza l’Uomo della croce scompaiono come neve al sole. Se si vuole parlare di loro non si può non parlare di Lui, del Cristo crocifisso. E se si vuole raffigurarli in qualche modo, pur facendo attenzione, di certo da qualche parte spuntano i due pali sui quali fu tormentato e morì il crocifisso. “ Non abbiate paura” di quella croce. Essa ci obbliga ad amare, ci vieta di odiare. E l’ odio, lo sappiamo tutti, è il vero, spaventoso nemico della nostra bella umanità.

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